Qualcuno potrebbe anche definirla una «voce dal sen fuggita». Un tentativo, umanissimo, di ingraziarsi una platea sensibile al tema e non necessariamente amica. Ma se a dirlo è un ministro, è pur sempre una valutazione di cui bisogna tenere conto. E il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo due sera fa ha detto che l’ora di religione a scuola, così com’è strutturata, ha poco senso e andrebbe modificata. «Nelle nostre classi, soprattutto alle elementari e alle medie, il 30 per cento degli studenti è di origine straniera e, spesso, non di religione cattolica», ha spiegato venerdì sera a Torino intervenendo alla festa di Sinistra ecologia e libertà. Delineando quello che, nei suoi pensieri, dovrebbe essere l’orientamento futuro: «Credo che l’insegnamento della religione nelle scuole così come concepito oggi non abbia più molto senso. Probabilmente quell’ora di lezione andrebbe adattata, potrebbe diventare un corso di storia delle religioni o di etica».
La considerazione di Profumo nasce da un dato di fatto, un’analisi della realtà. Nulla ha a che vedere con un giudizio sull’insegnamento attuale, anche se a luglio il ministro ha firmato un accordo con il presidente della Conferenza episcopale Bagnasco che prevede dal 2017 l’obbligo della laurea per chi insegna la religione cattolica nelle scuole italiane. Né, tanto meno, è un giudizio sulle scuole paritarie confessionali: «Io ho sempre frequentato le scuole pubbliche, ma credo che gli istituti paritari, le loro strutture e i loro docenti rappresentino un arricchimento per il Paese. Io credo nel pluralismo». Altro discorso è interrogarsi sull’ora di religione in classe, e anche in questo caso Profumo si dice convinto sostenitore del pluralismo, della necessità cioè di offrire un panorama più ampio agli studenti adattando la scuola a un contesto cambiato, sostituendo un insegnamento che si limita alla religione cattolica con una visione più laica, a cavallo tra le varie confessioni.
Nella scuola dell’obbligo, secondo l’ultimo dossier sull’immigrazione della Caritas, ci sono oltre 700 mila alunni figli di genitori stranieri, di almeno 180 nazionalità diverse. Nel 2000 erano nemmeno 150 mila. E quasi il 40 per cento è sì nato in Italia, ma non ha la cittadinanza. E spesso non è battezzato: sempre secondo la Caritas solo il 20 per cento degli stranieri in Italia è di religione cattolica. Senza contare che nelle scuole – soprattutto alle elementari – i casi di classi in cui la maggioranza degli allievi non è italiana sono ormai molti.
Il risultato è che nel 2011 per la prima volta dal 1993, quando venne fatta la prima rilevazione, la quota di alunni che preferisce uscire dalle classi quando entra l’insegnante di religione ha superato il 10 per cento. L’ultimo rapporto del Servizio nazionale della Cei per l’insegnamento della religione cattolica parla chiaro: l’unico segmento in cui negli ultimi due, tre anni non si sono verificate variazioni significative è la scuola superiore, dove circa 17 studenti su 100 scelgono di non frequentare all’ora di religione. Con differenze significative, un massiccio divario tra Nord e Centro da un lato e Sud dall’altro: nelle regioni settentrionali le “diserzioni” raggiungono il 27 per cento, nell’Italia centrale sfiorano il 20. Nel meridione appena due studenti su cento escono dall’aula durante l’ora di religione. In tutti gli altri segmenti (materne, elementari, medie), invece, il trend è significativo: probabilmente a causa della forte componente di immigrati che professano altre religioni, la diminuzione di chi frequenta le lezioni è consistente.
La Stampa 23.09.12