I media, sempre alla ricerca di semplificazioni via via più stucchevoli, rilanciano ossessivamente sui temi del lavoro messaggi del tutto slegati da ogni rapporto con la realtà effettuale: dal premier che se la prende vanamente, a quarant’anni di distanza, con lo Statuto dei lavoratori, alla iniziativa di chi vorrebbe restaurare con referendum i diritti del lavoro violati, fino alle spumeggianti affermazioni di chi sostiene che «dell’art. 18 non me ne può fregare di meno». Non è chiaro se questo sia lo spettacolo della politica deformato dai media o se la politica oggi sia proprio così. Perciò trovo ammirevole il tentativo del segretario del Pd di proporre invece una immagine rovesciata della politica, come se questa potesse essere ancora una cosa seria, una attività da svolgere non nell’interesse di chi la fa, ma verso un interesse comune, perfino generale. Forse è per questo che Bersani ha deciso di mettersi in gioco su primarie cosiddette aperte, aperte quindi anche ad altri candidati del Pd, contraddicendo lo Statuto del Pd che andrà perciò modificato ad hoc. Decisione, questa, che non può non suscitare perplessità in chi continua a ritenere, seguendo l’insegnamento classico, che le regole formali hanno una sola e fredda virtù: quella di predeterminare la dinamica del gioco. Plasmare le regole in relazione alla situazione concreta contraddice il principio stesso della razionalità giuridica. Ma tant’è: la crisi italiana è ormai così acuta da far rendere accettabile ogni misura anche di carattere straordinario finalizzata a rilanciare il senso stesso della politica democratica. Tornando al tema di sostanza è bene tentare di chiarire i temi prioritari di una agenda di governo del centrosinistra dopo le prossime elezioni. In primo luogo va guardata in faccia la realtà. Siamo un Paese in forte recessione, in cui decine di migliaia di lavoratori rischiano di perdere il posto di lavoro mentre i giovani e le donne il lavoro non lo trovano, o lo trovano solo di pessima qualità, precario. Inoltre si è aperta una contraddizione esplosiva tra lavoro e sicurezza ambientale, all’Ilva di Taranto, nel Sulcis e in tutti quei luoghi (ora definiti con la sigla «sin») in cui il celebrato «miracolo economico» degli anni ’50 e ’60 si è realizzato senza la minima considerazione dell’impatto inquinante, come avviene ora, né più né meno, nei Paesi cosiddetti emergenti (Cina, India, Brasile ecc.). È impressionante sentire un operaio che dice: «Meglio respirare pece e bauxite che morire di fame». Altro che eleganti disquisizioni sulla economia ecocompatibile! Quindi i primi provvedimenti del governo Bersani, se il centrosinistra vincerà le prossime elezioni, dovrebbero proprio riguardare il tema della bonifica dei siti inquinati e gli interventi necessari a garantire una occupazione sostenibile. Non avrebbe invece alcun senso mettere mano alla ennesima riforma del mercato del lavoro. In tema, con decreto, andrebbero fatte solo due cose: abrogare l’art. 8 della legge-Sacconi, approvata in punto di morte dall’ultimo governo Berlusconi, la norma incivile che autorizza i contratti aziendali a derogare in toto il diritto del lavoro, e stabilire le regole essenziali mediante cui i contratti collettivi possono acquisire efficacia generale. In secondo luogo andrebbero introdotte adeguate misure di sostegno del reddito a favore sia dei lavoratori che perdono il lavoro e sono in attesa di pensione sia dei giovani e delle donne che cercano effettivamente lavoro e non lo trovano, mettendo mano a una sistemica e scientifica incentivazione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato. In terzo luogo andrebbero fissati alcuni obiettivi di fondo sul piano della politica industriale: l’Italia deve restare un Paese a base industriale-manifatturiera o no? Se sì bisogna dire qualcosa su Fiat, Finmeccanica, industria siderurgica, e così via. Queste sono le cose serie di cui parlare. Il resto è solo agitazione mediatica, che passerà presto come fumo al vento.
L’Unità 23.02.12