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"Puntare su tre priorità per fare uscire il Paese dall’emergenza", di Pierpaolo Baretta e Cesare Damiano

La XVII legislatura è alle porte e la difficile iniziativa di risanamento avviata dal Governo Monti, dopo la disastrosa gestione di Berlusconi, non è terminata. Saranno gli elettori a scegliere il nuovo governo “politico” e, nella campagna elettorale, i partiti dovranno dire con chiarezza con quali proposte intendono guidare il Paese. Nel corso dell’ultimo anno si è lavorato molto per fare uscire l’Italia dall’emergenza, ma non basta riequilibrare i conti e perseguire il rigore. Bisognerà fare di più e meglio, soprattutto sul terreno dello sviluppo e dell’equità sociale. Il Partito Democratico deve imprimere un’accelerazione alle soluzioni da indicare per uscire dalla crisi. Occorre recuperare, esplicitamente e con proposte di merito, l’impostazione originaria del governo: come aveva detto il presidente Monti nel suo discorso di insediamento, «la nostra sarà una politica di rigore, di crescita e di equità». Sugli ultimi due punti si tratterà di superare ritardi e contraddizioni e di trovare un nuovo equilibrio nelle politiche del futuro governo. Noi vorremmo dare un contributo di merito alla definizione del programma dei progressisti e riconosciamo alla Carta d’Intenti di Bersani la capacità di rappresentare un punto di riferimento essenziale.

Nel nostro ragionamento individuiamo tre priorità sulle quali misurarsi: il debito pubblico; l’occupazione e gli investimenti; la protezione sociale. Le idee, su ciascuna di esse, vanno precisate meglio se vogliamo proporci credibilmente come forza di governo, e tradotte in proposte specifiche e misurabili. Lo scopo è migliorare e correggere l’azione dell’attuale governo. A questo fine vanno individuate le risorse e le manovre di politica economica che rendano concreta, agli occhi degli italiani, la realizzazione degli obiettivi dichiarati. A nostro avviso le tre priorità che abbiamo indicato costituiscono un contenuto unitario e vanno, perciò, affrontate in maniera contestuale. Non può esistere un prima ed un dopo o una graduatoria. Solo così i sacrifici saranno sopportabili e si potranno contenere i loro effetti negativi sul tessuto sociale. È

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infatti evidente che se si agisce solo sul risanamento della finanza pubblica, mentre la crescita resta stagnante e la disoccupazione cresce, la percezione delle famiglie e dei singoli cittadini è concentrata sugli squilibri, aumentano le difficoltà e si diffonde la perdita di fiducia. Al contrario se si avverte anche una modesta, ma veritiera, inversione di tendenza dei dati economici, il volano si mette in moto e i sacrifici diventano più sopportabili perché finalizzati. Occorre uno sforzo rilevante di recupero di risorse, che non deve avvenire attraverso l’imposizione di ulteriori tasse, che si possono

suddividere nei tre capitoli prioritari che abbiamo individuato. I bacini dai quali attingere per liberare risorse sono molti.

Un piano molto «contenuto», ma deciso, su alcune voci può produrre entrate straordinarie molto rilevanti. Ad esempio: la lotta alla corruzione (stimata in 60 miliardi di euro): obiettivo 10 miliardi (1 miliardo all’anno); la lotta all’evasione (stimata in 130/150 miliardi di euro): obiettivo 30 miliardi (3 all’anno); le dismissioni del patrimonio pubblico (stimato in 400 miliardi di euro): obiettivo 80 miliardi (8 annui); una nuova spending review (stimabile in 70 miliardi di euro): obiettivo 20 miliardi (2 all’anno); una patrimoniale sulle grandi rendite (solo lo scudo fiscale è stato stimato in ben oltre 100 miliardi): obiettivo 2 miliardi annui; infine, tasse di scopo finalizzate a obiettivi specifici. Non tutti gli anni godranno di flussi di entrata regolari di 16 (sedici !) miliardi all’anno com’è nella nostra proposta, ma la curva si compensa nel periodo. Così facendo si possono suddividere queste entrate, ad esempio, nel seguente modo: 50% al debito, allo scopo di portarlo rapidamente sotto il 100%; il 25% alla crescita; il 15% alla riduzione del cuneo fiscale e alla incentivazione del salario di produttività a vantaggio di impresa e lavoro; il 10% al welfare. In questo schema l’avanzo di bilancio (previsto per il 5% nel 2015) può costituire una importante riserva, sia per favorire interventi a favore della crescita, sia per garantire la richiesta della introduzione della golden rule e il rispetto dei nuovi dettati della riforma costituzionale che prevede la introduzione, nel nuovo articolo 81, dell’equilibrio di bilancio in relazione all’andamento del ciclo economico.

Il resto delle manovre dovrà servire a rispettare i vincoli del Fiscal Compact che andrà rinegoziato, una volta assicurato che scendiamo sotto il 100%, nell’ambito di una revisione dei trattati finalizzata ad accrescere il livello di «europeizzazione» delle nostre Istituzioni. A tal fine si propone che i partiti europei presentino, alle elezioni, liste transnazionali e che il presidente della Commissione venga eletto a suffragio universale. Vorremmo, infine, fornire alcune indicazioni circa la finalizzazione delle risorse non destinate al debito. Le nostre proposte sono: investimenti pubblici coordinati dalla Cassa Depositi e Prestiti; defiscalizzazione degli investimenti privati per grandi opere; nuova Aspi e sostegno al reddito in caso di disoccupazione; incentivi alle assunzioni stabili per ridurre la precarietà; copertura finanziaria alla proposta di legge 5103 (che ha l’obiettivo di risolvere il problema dei lavoratori esodati), aumento delle pensioni più basse e ripristino della loro indicizzazione fino a sette volte il minimo.

l’Unità 20.09.12