Era Marchionne che doveva convocare il governo? Viste le iniziali incertezze dell’esecutivo (ma sabato Monti vedrà l’ad Fiat) poteva venire questo sospetto. L’annuncio da parte del Lingotto dell’abbandono del piano Fabbrica Italia, che prevedeva 20 miliardi di investimento nel nostro paese, non è stato nient’altro che la conferma di una preoccupazione presente tra le forze politiche e sociali. Le conseguenze di questa scelta non sono immaginabili, perché si può andare dal ridimensionamento della presenza del settore auto nel nostro paese, alla sua tendenziale scomparsa. Per questo, come Partito democratico, abbiamo chiesto da tempo di passare dai tavoli di crisi aperti al ministero delle attività produttive, ad interventi veri e propri di politica industriale. Per comprendere la situazione, non rinchiudiamoci all’interno di una visione esclusivamente nazionale od europea del problema e domandiamoci se c’è un crollo del mercato dell’auto a livello mondiale. Si deve innanzitutto registrare come l’andamento dei principali mercati europei non sia uniforme. Infatti, mentre la Germania ed il Regno Unito segnano rispettivamente un +0,7% ed un +2,7%, la recessione riguarda l’Italia (-20%), la Spagna (-8,2%) e la Francia (-14,4%).
Molto diversa si presenta la situazione mondiale dove, nei primi sei mesi del 2012, è stato stimato (Focus2move) che siano stati venduti 40,5 milioni di autovetture e veicoli leggeri, con un incremento del 6,7% rispetto ai primi sei mesi del 2011. Al primo posto si colloca la Cina con 9,5 milioni di vetture vendute (+2,9%) ed al secondo posto gli Stati Uniti con 7,3 milioni di vetture (+14,8%). Tassi di crescita importanti registrano anche l’India (+12,3%) e la Russia (+14,6%), sia pure con mercati di 1,4 milioni di vetture ciascuna.
Questi dati sono la conseguenza dei differenti tassi di crescita dei diversi paesi e dell’impatto che ha la crisi economica sul vecchio continente e indicano anche il peso sempre più consistente che l’auto avrà nel mercato mondiale: alcuni esperti del settore si sono spinti ad affermare che, alla fine di questo secolo, il parco circolante di veicoli passerà dagli attuali 700 milioni a tre miliardi di vetture. Non sappiamo se sarà vero, ma il trend è molto chiaro. Si tratta di numeri che segnalano anche la diversa ubicazione geografica che assumeranno questi mercati rispetto alla posizione nella quale si sono storicamente sviluppati. L’Europa è ancora oggi al primo posto come parco circolante con 234 milioni di vetture, seguita dagli Usa con 135 milioni e dal Giappone con 58 milioni: tuttavia, i tassi di crescita di questi paesi sono vicini allo zero ed il mercato riguarda solamente la sostituzione delle vetture, mentre i paesi dell’area Bric hanno certamente un parco circolante molto più modesto, ma tassi di crescita superiori al 5% (per la Cina e l’India il tasso è a due cifre), proprio perché sono ancora nella fase della “prima motorizzazione”. Perciò è inevitabile una riorganizzazione delle produzioni, che in parte è già stata realizzata, ma che deve ancora completarsi soprattutto per la sovrabbondanza di capacità produttiva che interessa in modo particolare l’Europa. Per quanto riguarda la Fiat, è utile ricordare quali siano state le richieste dell’azienda per avviare il progetto Fabbrica Italia: dalle pesanti condizioni di lavoro accettate dalla maggioranza dei lavoratori con i referendum di Pomigliano, di Mirafiori e della Bertone, alla discutibile rottura del sistema di relazioni sindacali, fino all’uscita dalla Confindustria e dal Contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. In questo percorso l’azienda si è assunta precisi impegni pubblici nei confronti dei lavoratori e del paese che non possono essere dimenticati, nonostante le attuali condizioni negative del mercato, soprattutto per quanto riguarda l’occupazione.
La sfida che l’azienda deve decidersi a compiere è quella di saper competere in un mercato dell’auto sofisticato e maturo come quello europeo: la partita si gioca sulla qualità e sul valore aggiunto di innovazione che l’azienda saprà inserire nei nuovi modelli. Una scelta che richiede investimenti e il pieno utilizzo di quelle competenze tipiche di chi ha alle spalle più di cento anni di storia: la dote che la Fiat ha portato alla Chrysler per concludere l’accordo da posizioni di forza. Internazionalizzare la produzione al fine di cogliere le migliori opportunità offerte dal mercato mondiale, è buona cosa. Delocalizzare nei paesi di confine alla ricerca del minore costo del lavoro vuol dire, in molti casi, rinunciare alla qualità delle produzioni.
Il governo può svolgere un ruolo fondamentale: stimolare e sostenere l’innovazione, predisporre un piano nazionale dei trasporti e della mobilità e concordare con l’Europa le scelte di politica industriale più idonee per consentire la riorganizzazione del settore. Sarebbe un grave errore sottovalutare il peso economico che l’auto può esercitare nel superamento della crisi e come stimolo allo sviluppo.
da Europa Quotidiano 19.09.12
Pubblicato il 19 Settembre 2012