È fin troppo scontato in un Paese come l’Italia dove alle donne spettano i record di precarietà e disoccupazione anche in tempi normali. La crisi sta colpendo senza pietà soprattutto loro e soprattutto le più deboli: quelle con almeno due figli, quelle che non hanno la laurea, le straniere. È l’amaro scenario disegnato dal rapporto di Save the Children «Mamme nella crisi» presentato ieri.
Le speranze di poterle aiutare sono poche, ha ammesso la ministra al Welfare e alle Pari Opportunità Elsa Fornero. Pur condividendo e capendo, ha ricordato a tutti la difficile situazione dei conti, il debito da restituire e quindi ha escluso iniziative forti, ad ampio raggio. Qualcosa però è allo studio per le donne che soffrono di più ha assicurato – si tratta di «aree di intervento mirate, circoscritte per massimizzare le probabilità di riuscire».
La ministra avrebbe voluto anche introdurre cinque giorni di paternità obbligatoria. «Ma come le paghiamo? Ogni giorno costa 70 milioni di euro». Lo stesso vale per eventuali misure sulla social card e sulla non autosufficienza: per il momento sono in fase di solo di studio perché non si sa come pagarle.
E, quindi, la situazione resta quella che è. Nel 2010 ad avere un lavoro è una donna su due (il 50,6%) se non ha figli, cifra molto al di sotto della media europea pari al 62,1%. Ma scende al 45,5% già al primo figlio (sotto i 15 anni) per perdere quasi 10 punti (35,9%) se i figli sono 2 e toccare quota 31,3% nel caso di 3 o più figli.
Nel solo periodo tra il 2008 e il 2009 800 mila mamme hanno dichiarato di essere state licenziate o di aver subito pressioni per andare via in occasione o a seguito di una gravidanza, anche grazie al meccanismo delle «dimissioni in bianco». Le interruzioni del lavoro alla nascita di un figlio per costrizione, che erano il 2% nel 2003, sono quadruplicate nel 2009 diventando l’8,7% del totale delle interruzioni di lavoro.
Anche le donne che hanno avuto la fortuna di conservare un posto di lavoro nonostante la crisi, sono andate incontro a problemi. Nel 2010 è diminuita l’occupazione qualificata, tecnica e operaia. È cresciuta la bassa specializzazione: dalle collaboratrici domestiche alle addette ai call center. Aumenta il part-time, «ma non quello scelto dalle donne» – precisa Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat. È dovuto quasi esclusivamente all’aumento del part-time accettato per la mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno, con una percentuale nel 2010 del 45,9% sul totale dell’occupazione a tempo ridotto, quasi il doppio della media Ue (23,8%).
Vita sempre più difficile per le mamme di origine straniera: già all’arrivo del primo figlio subiscono un aumento notevole dell’indice di deprivazione materiale dal 32,1% al 37% contro il 13,3% e il 14,9% delle madri italiane, e le mamme sole, i cui figli sono i più esposti al rischio di povertà con una percentuale del 28,5% contro il già gravoso 22,8% della media dei minori in Italia.
Poche speranze anche per le donne senza laurea. Il loro tasso di occupazione è molto inferiore a quello dei coetanei di sesso maschile: 37,2% contro il 50,8%. E, quindi, è inevitabile che dei 3 milioni e 855mila donne fra i 18 e i 29 anni, il 71,4% viva ancora con i genitori. Calano le nascite di 15mila unità tra il 2008 e il 2010 e nessuno offre aiuti. Nel 2009, la spesa per la protezione sociale per famiglie e minori raggiungeva appena l’1,4% del Pil, rispetto ad una media europea del 2,3%. Ovvio che solo il 13,5% dei bambini fino a 3 anni viene preso in carico dai servizi, una percentuale lontanissima dall’obiettivo europeo del 33%, con una forte penalizzazione del sud.
La Stampa 19.09.12
Pubblicato il 19 Settembre 2012