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"Un partito senza anticorpi", di Francesco Cundari

Il primo problema delle primarie all’italiana è che rischiano di fare apparire secondarie le elezioni. Il secondo problema è che rischiano di renderle superflue, disintegrando il campo che dovrebbero invece contribuire a definire, consolidare e rilanciare.
Dopo gli elogi di Daniela Santanchè e Angelino Alfano, Libero e Giornale, alla candidatura di Matteo Renzi ieri è arrivata anche la benedizione di Silvio Berlusconi. «Renzi porta avanti le nostre idee, sotto le insegne del Pd», ha detto il Cavaliere. Parole che fanno inorridire i sostenitori di Pier Luigi Bersani, convinti che si tratti di segnali inviati alla base del Pdl affinché si precipiti in massa ai gazebo e regali all’attuale leader del Pd, se non proprio la sconfitta, almeno una vittoria dimezzata. Ma non meno inorriditi si mostrano i sostenitori di Renzi, convinti che le parole di Berlusconi si spieghino, al contrario, con l’intenzione di danneggiare la candidatura del sindaco di Firenze, imprimendogli il marchio del traditore.
Probabilmente, per quanto riguarda la possibilità di influenzare il risultato delle primarie, si tratta in entrambi i casi di preoccupazioni eccessive, se non infondate. Alle primarie del centrosinistra voteranno, come in tutte le precedenti occasioni, milioni di persone. Milioni. E tra questi, come è sempre accaduto, ci saranno certamente anche fior di elettori, militanti e magari anche qualche dirigente di partiti lontani dal centrosinistra. Può non piacere, ma è così. È la logica delle primarie aperte. Una logica che mostra in questi giorni tutti i suoi effetti collaterali, soprattutto in un sistema politico in cui a fare le primarie è solo uno dei contendenti. Uno squilibrio che Berlusconi è sembrato fin qui intenzionato a perpetuare e a sfruttare il più possibile, rinviando continuamente la decisione sulla sua ricandidatura e alternando a lunghi silenzi uscite provocatorie come quella sul sindaco di Firenze. È questa asimmetria di fondo che verosimilmente farà sì che la lunga campagna per la scelta del candidato premier dei progressisti continui a essere il centro di attrazione di tutti i possibili attacchi, polemiche, manovre, da parte di chiunque abbia interesse a incrinare la costruzione di una credibile alternativa di sinistra all’attuale equilibrio politico.
Berlusconi colpisce dove fa più male. Con le sue parole sente di poter seminare il massimo della divisione tra gli avversari, alimentando accuse e sospetti reciproci all’interno del principale partito di una coalizione ancora da costruire. Ma questa possibilità al Cavaliere non viene semplicemente dalla debolezza delle regole, peraltro non ancora fissate, che dovrebbero garantire il funzionamento delle primarie. Dal momento in cui, all’interno di un partito, simili sospetti sono anche solo pensabili, non c’è regolamento che tenga. Perché il problema è a monte. Se anche per il voto si prevedessero i vincoli più stringenti, i sospetti non farebbero che spostarsi altrove. Alla paura dell’inquinamento del voto si sostituirebbe magari il timore di un inquinamento della campagna elettorale. Il fatto che il Pd sia così esposto a questo genere di provocazioni non è un problema che dipende dal regolamento delle primarie. Dipende semmai da come le primarie hanno fin qui regolato la vita del partito, sin dai suoi primissimi giorni di vita. Il modello di un partito aperto, sempre contendibile a tutti i livelli, e quindi sempre in contesa, non ha evidentemente favorito il consolidarsi di un costume, di un’etica, di un sentimento di appartenenza comune. Anticorpi essenziali per qualsiasi organizzazione collettiva, ma soprattutto precondizioni indispensabili per qualsiasi competizione interna non si voglia trasformare in guerra civile.

L’Unità 17.09.12