attualità, politica italiana

"Un grande discorso di un grande presidente", di Mario Pirani

Nello smarrimento delle idee politiche credo giochi la perdita di quegli strumenti che un tempo orientavano l´opinione pubblica: i discorsi e gli editoriali domenicali dei leader di partito, i comizi particolarmente significanti, i dibattiti parlamentari di maggior peso. Via via col passar degli anni le tappe riconosciute della discussione politica si sono stemperate nei talk show televisivi, nella vanità dei gossip come fatti del giorno, nella distratta citazione di questa o quella frase. Per questo acquistano inaspettato valore alcuni interventi singoli, autorevoli, pronunciati, il che non guasta, nell´osservanza della forma. Il più recente esempio ci è dato dal discorso del Presidente della Repubblica a Venezia, il 6 settembre scorso, sulla europeizzazione della politica. Non si tratta di una orazione retorica ma di una proposizione aperta, un invito al confronto dialettico, al rifiuto di vecchie idee e alla ricerca di un pensiero rinnovato. Un tempo lo si sarebbe discusso nelle sezioni e nei circoli politici, animando anche fruttuose contrapposizioni. Oggi ci contentiamo di segnalarlo ai nostri lettori, partendo dall´allarmato incipit: “In Europa la politica è in affanno e naviga a vista perché le vecchie mappe risultano sempre più inservibili e le nuove restano ancora lontane da un disegno compiuto… In un continente interconnesso la politica è rimasta nazionale ed è questo un fattore di crisi della costruzione europea”. Analisi non contestabile anche se, a mio avviso, avrebbe ricevuto un contributo di completezza storica il richiamo esplicito alle vecchie mappe ormai consunte ma, comunque, depositarie di una esperienza di massa non cancellabile: il cattolicesimo sociale, il comunismo, la social democrazia. Se Napolitano ne ha sottaciuto l´esperienza è probabile non volesse dar l´impressione di ripercorrere le vie del passato nel momento in cui riproponeva con forza l´esigenza di un impegno per il presente e per il futuro. Per questo si trova nelle sue parole quell´afflato volontaristico, oggi desueto, o addirittura esplicitamente respinto. Per il Presidente non è così: “La crisi ha oggi il suo epicentro nell´Europa della moneta unica. È qualcosa che domina la politica e la vita quotidiana, lo specchio inquietante di tutti i dilemmi che ci assillano…. Le vicende convulse che per effetto della crisi si stanno da un biennio succedendo nell´Eurozona spingono con inaudita forza oggettiva in una direzione ineludibile: quella di una integrazione sempre più stretta e comprensiva tra gli Stati unitisi prima nella Comunità e poi nell´Unione”. È un tema su cui il discorso si articola lungamente come anche sugli ostacoli che vi si frappongono, assieme alla “coscienza di come sarebbe catastrofica la scelta opposta… Ma quale può essere la via d´uscita? Il passaggio, per la democrazia, dalla dimensione nazionale a una dimensione sovranazionale…. Quella che manca è una dialettica finalmente europea, con le sue sedi, le sue forme di espressione, le sue forze protagoniste”. Il discorso è il racconto “di una crisi che ha finito da più parti per essere rappresentata come se l´integrazione europea, culminata nell´Euro, ne fosse più la causa che la sola possibile via d´uscita”.
Non ho qui purtroppo lo spazio per dar conto della chiamata in causa delle leadership politiche e dei partiti. L´appello suona chiaro: “Nessuna nuova o più vitale democrazia potrà nascere dalla demonizzazione dei partiti, nel deserto dei partiti. Quel che è indispensabile è che si rinnovino, riacquistino quel più alto senso della missione… impegnandosi in una vera e propria controffensiva europeista”. Seguono proposte concrete sull´europeizzazione. Chi riuscirà a leggerle ne trarrà utili indicazioni. Ancor più ne trarrebbero un benefico nutrimento anche culturale tutti quei detrattori di professione impegnati da tempo nel vilipendere il Capo dello Stato e che hanno fin qui dato purtroppo prova di non sapere quello che fanno.

La Repubblica 17.09.12