La scuola di base, in particolare la scuola dell’infanzia ed elementare, è una struttura portante della qualità dell’educazione pubblica in Italia. C’è una storia gloriosa alle spalle, con i miti fondativi della scuola materna statale del 1968, la nascita popolare del tempo pieno nel 1971, i programmi “bruneriani” del 1985, la stagione felice della pluralità docente (1990), dove tutti hanno avuto la sensazione di crescere come persone e come professionisti. Non è stato solo un mito, ci sono dati ed evidenze che attestano la qualità della nostra scuola primaria (pensiamo alle indagini Iea-Pirls, Timss, Invalsi). E’ una bella storia da cui ripartire, da rivivere non solo in termini di nostalgia, ma da rilanciare, da argomentare, da documentare. Ad esempio, utilizzando meglio gli spazi dell’autonomia organizzativa e didattica, e non chiudendosi in una logica puramente difensiva, che ci porta inevitabilmente ad un “fai da te”, ad una scuola del caso, che sembra senza bussole culturali e pedagogiche.
Certamente le vicende di questi ultimi anni hanno messo a dura prova la scuola elementare. Ci sono delle ferite ancora aperte, come quella dell’anticipo, che fa trapelare un’idea precocemente performativa che “porta via” i tempi di crescita ai bambini. Spesso prevale una semplificazione nei discorsi pubblici che brucia ogni argomentazione: pensiamo a come è stato difficile far fronte alle emergenze del ritorno al maestro unico, alla scomparsa della compresenza, al ritorno del voto in decimi (Legge 169/2008). Tutto è avvenuto senza aprire un sincero confronto pubblico. E al di là di messaggi accattivanti su una scuola più “seria” abbiamo visto progressivamente affievolirsi l’effettiva disponibilità di risorse umane, di risorse di tempo, di motivazioni professionali, di un investimento che non c’è più da diversi anni sulla formazione degli insegnanti. Questi dati sono emersi nettamente dagli esiti del monitoraggio con le scuole che ha preceduto la fase di revisione delle Indicazioni/2007 (CM 101/2011).
I punti di forza
La scuola primaria è la scuola degli alfabeti, anzi della lingua che ci fa uguali; rappresenta la nuova e vecchia frontiera della cittadinanza (il “pane e grammatica” come mission della scuola elementare nell’ottocento). Il compito della prima scuola risiede nell’alfabetizzazione: strumentale, funzionale, culturale. Ma gli alfabeti oggi sono un mix di vecchi e nuovi alfabeti, naturali, personali, tecnologici. La sfida è proprio nel tenere insieme il tema delle competenze (l’apprendimento “non inerte”, secondo la felice definizione di Piero Boscolo) con la vita dei ragazzi: spesso questo dialogo non scatta e ciò che gli allievi trovano in classe, sul banco, appare a volte come una natura morta. Nelle Indicazioni/2012 si insiste su una più sicura padronanza degli strumenti alfabetici di base. Si vogliono saperi “essenziali”, si esplora il “core curriculum”, ma questo non può significare il ritorno ad una vecchia gerarchia delle materie (quelle importanti e quelle accessorie), quanto piuttosto a dare la priorità ad alcune competenze fondamentali, come il saper ascoltare, parlare, descrivere, raccontare, argomentare, fare ipotesi, comunicare. E questo si fa attraverso una buona organizzazione del lavoro in classe, superando la scorciatoia dell’insegnamento tutto “frontale”, facendo dialogare tra di loro le discipline, mettendo al centro della vita d’aula la partecipazione costruttiva dei ragazzi. Sono valori già presenti nel testo del 2007, che vengono ripresi nella versione del 2012.
Il curricolo verticale
La vera novità è rappresentata dalla diffusione degli istituti comprensivi, con l’emergere del tema del curricolo verticale. La riscrittura delle Indicazioni (dal profilo del 14enne da condividere insieme fino agli assetti “in verticale” delle discipline) si ispira fortemente a questi principi, non in omaggio ad un generico concetto di continuità, ma per la convinzione che una maggiore coerenza (compattezza, progressione, unitarietà) del percorso dai 3 ai 14 anni possa consentire di migliorare i livelli di formazione per tutti.
In materia di curricoli verticali abbiamo buoni esempi da studiare, come i bienni progressivamente intrecciati (tra elementari e medie) in provincia di Trento, dove l’avvio (classi 1^-2^ elementare) è giocato sull’unitarietà dei primi alfabeti, quindi (3^-4^) su esperienze integrate di esplorazione e conoscenza, poi (nell’intreccio 5^ elementare-1^ media) sulla comparsa di linguaggi, codici, specializzazioni ed infine (2^-3^ media) con il momento delle opzioni, delle scelte più flessibili, delle passioni da coltivare nei ragazzi, con saperi e approfondimenti specifici. [1]
Il passaggio tra elementari e medie risulta un momento decisivo e bene hanno fatto a Scuola-Città Pestalozzi di Firenze, un istituto comprensivo sperimentale ante-litteram fin dal 1945, a costruire i bienni e i consigli di classe in verticale, dove insegnanti elementari e professori si confrontano direttamente ed, anzi, si fanno “conoscere” nelle rispettive classi per proporre esperienze intrecciate (ad esempio, laboratori di scrittura, scientifici, espressivi, operativi, ecc.) [2] .
La figura del maestro e la pluralità docente
In questo ritmo verticale della scuola di base si può ripensare anche al tema della funzione docente, da vedere in termini unitari, da arricchire nei livelli di formazione (sui saperi, sulla didattica, sulla relazione) e mantenendo una pluralità di competenze. La scelta del maestro unico si è rivelata controproducente. Nella scuola elementare si era costruito un modello originale, il team docente. Dove ha funzionato e dove non è stato sottoposto allo stress della frammentazione e della discontinuità (non sempre colpa del Ministero…) si è rivelato un efficace modello di collaborazione professionale. La comparsa di ulteriori specialisti (lingua straniera, religione, motoria, musica, tecnologie, ecc.) è avvenuta con una logica aggiuntiva ed oggi subisce i contraccolpi dei “tagli”. Occorre immaginare team semplici, che gradualmente si arricchiscono e che si avvalgono, nella dimensione del plesso o dell’istituto di una rete di figure specialistiche con competenze da mettere a disposizione della scuola (formazione in servizio, laboratori, compresenze mirate, tutoraggio, valutazione, ecc.) senza inseguire modelli orari a ”cattedra”. Sarebbe questa l’idea vincente di un organico funzionale di istituto (Legge 35/2012) da vivere come arricchimento complessivo della comunità professionale, che può dare un tono alto alla scuola primaria e favorire l’incontro con la scuola media.
Le prospettive della “buona” scuola
Dobbiamo comunicare una buona scuola e praticarla con più coraggio. Essere esigenti con noi stessi, ad esempio ripensando a tutto campo le condizioni per l’esercizio della funzione docente (gli orari, la carriera, la formazione “obbligatoria”, la valutazione), mettendo da parte le deludenti sicurezze di questi anni.
Bisogna andare oltre la casualità difensiva di oggi, che rischia di trasformare la scuola elementare in un caleidoscopio fai-da-te. Occorre interrogarsi sui compiti formativi della scuola primaria italiana nei prossimi anni, sui concetti di alfabetizzazione, di accoglienza, di ambiente di apprendimento, per confermare il valore sociale di un bene immateriale com’è la scuola di base in termini di coesione sociale, di solidarietà, di cittadinanza. Il testo delle Indicazioni/2012 è un buon “pre-testo” per ri-dirci tutto questo. Ci sono motivazioni forti, nobili, difendibili, che possono ri-appassionare gli insegnanti, i dirigenti, il personale, coloro che fanno funzionare questa scuola tutti i giorni. Possono e sono in grado anche di farla crescere, di farla vivere, di trasformare la comunità professionale in una comunità educativa che continui ad essere apprezzata dai genitori e al centro della nostra società.
(*) Il presente intervento fa parte di una più ampia pubblicazione, curata da G.Cerini assieme ad una cinquantina di altri autori (insegnanti, dirigenti, docenti universitari), sulle parole chiave delle Indicazioni/2012, in forma di abbecedario dei concetti fondamentali: Indicazioni 2012: passa…parola, Homeless Book, Faenza (RA), 2012. (Il testo non è in commercio e può essere richiesto al Cidi di Forlì: cidifo@mclink.it
[1] Secondo il recente rapporto della Fondazione Agnelli sulla scuola media, accreditate ricerche europee segnalano che gli adolescenti italiani sono molto meno motivati verso l’esperienza scolastica dei loro coetanei europei. Un segnale di disaffezione che va colto con molta attenzione (Fondazione Giovanni Agnelli, Rapporto sulla scuola in Italia 2011, Laterza, Bari-Roma, 2011).
[2] P.Orefice, S.Dogliani, G.Del Gobbo, Competenze trasversali a scuola. Trasferibilità della sperimentazione di Scuola-Città Pestalozzi, Edizioni ETS, Pisa, 2011.
da ScuolaOggi.org