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"Sono cadaveri medievali non vittime dei partigiani", di Jolanda Buffalini

Quelle ossa risalgono a un periodo che va dal X al XII secolo e sarà anche interessante indagare l’origine di quell’antico cimitero. Ma non si tratta del “sangue dei vinti”, non aggiungono nulla alla tragica storia del nostro recente passato, quello che con la guerra di liberazione dal nazifascismo ha portato alla nascita della Repubblica e della Costituzione che ripudia il fascismo.
Per anni qualcuno ha pregato, davanti a quegli scheletri credendo fossero i resti terreni dei propri cari. Furono anche celebrati dei funerali solenni immaginando quelle ossa appartenti a vittime di un eccidio partigiano. Dopo decenni di polemiche, l’oggettività scientifica ha chiuso un capitolo tra i più discussi del dopoguerra in Emilia riconsegnandolo al suo ambito di appartenenza, quello della storia medievale.

Non appartengono al periodo della resistenza le ossa rinvenute nel 1962 a San Giovanni in Persiceto (Bologna). A dirlo è la prova del carbonio 14 che ha datato le ossa tra il X e il XII secolo. «Il rinvenimento di questi scheletri – ha detto il sindaco di San Giovanni Renato Mazzuca in una conferenza stampa durante la quale sono stati presentati i risultati delle analisi – si inseriva al termine di un periodo che aveva prodotto fratture profonde nella nostra comunità. Ferite che solo con il tempo è stato possibile ricucire». Gli scheletri erano stati attribuiti (tesi smentita già da una sentenza del 1965) alle vittime della cosiddetta “Corriera fantasma”, un pullman con a bordo repubblichini partito da Brescia e che, secondo alcune ricostruzioni, sarebbe stato vittima di un assalto partigiano proprio nei pressi di San Giovanni. Oppure, secondo un’altra versione, di prigionieri. A distanza di anni, l’episodio era citato tra le violenze contro i “vinti” che seguirono la Liberazione, il luogo del rinvenimento considerato una fossa comune.

Alla fine la sezione Anpi di San Giovanni si è decisa, in accordo con quella di Bologna, e ha investito una somma non piccola per le sue finanze, alcune migliaia di euro, per l’analisi al carbonio di quelle ossa, conservate nel cimitero del Comune dopo un rinvenimento casuale. Il 23 aprile scorso, le 32 cassettine sono state riesumate, tre sono state aperte e sono stati prelevati campioni di ossa. Questi sono stati studiati dall’Università di Bologna e dal Museo Archeologico Ambientale di Persiceto per poi essere inviati al Cedad (Centro di Datazione e Diagnostica dell’Università del Salento – uno dei due centri specializzati in Italia) per la datazione. I due campioni esaminati, attribuiti a “sconosciuto 4” e “sconosciuto 29”, risalgono rispettivamente a un’età compresa tra l’890 e il 1050 e tra il 990 e il 1160. «Quello che abbiamo – ha detto Maria Giovanna Belcastro, docente di antropologia fisica con applicazioni forensi a Bologna – è un dato importante che indirizza l’interpretazione di questa vicenda. Ora, il protocollo scientifico prevede un confronto con altre analisi che verranno svolte ad Oxford sugli stessi campioni».

C’è però chi non considera chiuso il capitolo, Fabio Garagnani, parlamentare Pdl del luogo, considera «troppo comodo per i post comunisti annegare in queste analisi quanto accaduto nel 1945-1948 nelle nostre terre». Lui vorrebbe una commissione parlamentare d’indagine «sulle vittime della violenza in Emilia-Romagna nel periodo 1945-1948», vorrebbe mettere sotto processo la Resistenza. Ma, dice Gianluigi Amadei, dell’Anpi di Bologna, «noi abbiamo bisogno di una storia seria della Resistenza, non di revisionismi montati sui miti di parte». E invece di quella presunta strage non c’era nessuna traccia nella storiografia locale, non si erano trovati riscontri né ricordi, al loro posto era cresciuto il mito, ad uso politico della memoria.

L’Unità 13.09.12