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"Nuovi concorsi universitari, la valutazione è fai-da-te", Luciano Mecacci

C’è scarsa atteenzione sulla stampa e nell’opinione pubblica sui gravi problemi che stanno emergendo dopo la pubblicazione a metà agosto dei nuovi criteri da adottare per valutare nei prossimi concorsi per professore universitario sia chi aspira a essere membro della commissione esaminatrice sia chi si candida al passaggio da ricercatore a professore associato o da associato a professore ordinario. Solo l’Unità nell’articolo di Mario Castagna ha fatto riferimento al possibile accoglimento da parte del Tar Lazio del ricorso subito presentato dall’Associazione Italiana dei Costituzionalisti in merito ai parametri (in particolare, le mediane) che avrebbero dovuto imprimere una svolta al sistema di valutazione della ricerca scientifica nel nostro Paese (anche ai fini della progressione nella carriera dei docenti universitari) e che invece si stanno dimostrando un nuovo pasticcio.

Al di là della fondatezza dei valori statistici introdotti, vanno messi in evidenza tre aspetti generali di questo cosiddetto nuovo sistema che dimostra quanto invece esso conservi vecchie impostazioni. In primo luogo, permane una gerarchia nei tre gradi della carriera universitaria rispetto al valore internazionale della produzione scientifica che è inverosimile: secondo il Dm del 7.6.2012 n. 76 per divenire professore ordinario bisogna avere prodotto «risultati di rilevante qualità e originalità, tali da conferire una posizione riconosciuta nel panorama anche internazionale della ricerca»; invece per divenire professore associato i risultati devono essere tali «da conferire una posizione riconosciuta nel panorama almeno nazionale della ricerca». Quindi scendendo dall’«anche internazionale» all’«almeno nazionale», ci si domanda poi se a un dottore di ricerca che aspiri a diventare ricercatore si chiederanno risultati «almeno regionali o provinciali».

Ci si aspettava che qualsiasi risultato scientifico, al di là del grado burocratico di carriera di chi lo ha prodotto, dovesse avere sempre un valore internazionale. Comunque (secondo punto) lo stile commissione-di-una-volta resta garantito dalla frase finale del documento ministeriale che spiega i criteri di valutazione: «Il superamento del numero richiesto di mediane non è affatto una condizione sufficiente per ottenere l’abilitazione, concorrendo alla valutazione finale il giudizio delle commissioni su una serie di criteri e parametri».

Poiché non risulta che questi «criteri e parametri» (la condizione necessaria, ahimè) siano quantificabili, siamo punto e a capo: a parità o quasi di valori numerici, tra il candidato A e il candidato B chi sarà scelto? Infine, il pezzo più forte è l’autoreferenzialità della valutazione. Si è scritto che sono stati adottati riferimenti internazionali. È vero solo a metà. Per ogni area scientifica è stato calcolato il numero delle pubblicazioni negli ultimi dieci anni, certamente su quali riviste internazionali di prestigio o no, ecc., ma all’interno del gruppo relativo dei docenti italiani (ripeto: italiani).

Quindi un commissario X o un candidato Y sono giudicati non su parametri internazionali in assoluto, ma relativamente a quanto produce il loro gruppo di colleghi italiani. Quindi X e Y possono risultare bravissimi perché la maggior parte dei colleghi di una settantina di atenei italiani è mediocre sul piano della produzione, ma ciò non significa che X e Y potrebbero mantenere il loro primato se fossero confrontati con i colleghi stranieri.

Immaginiamoci cosa succederà (lasciamo per- dere cosa è già successo nella storia dell’università italiana) in quei settori dove oggi la mediana è risultata 0 (non è un refuso). In breve siamo stati di nuovo molto originali, creando un modello di valutazione scientifica unico al mondo: internazionale sì, ma tra di noi.

Già professore ordinario e prorettore dell’Università di Firenze

L’Unità 11.09.12