La delibera comunale sul registro delle “ultime volontà” è un atto importante e prezioso che mi auguro sia presto discusso in Aula. Siamo di fronte a un tema complesso, che in un passato recente ha diviso violentemente gli italiani. È bene dunque che si trovino argomenti di dialogo e mediazione e si evitino strumentalizzazioni. Perché non aiuterebbe nessuno trasformare il registro in una competizione squisitamente politica.
Se è cominciata nel comune di Milano la discussione sulla istituzione di un registro delle ultime volontà lo si deve alle iniziative popolari dei Radicali e del comitato cittadino Io scelgo. Una raccolta firme che chiedeva, di fronte a un vuoto legislativo, la creazione di uno strumento comunale che offrisse ai cittadini residenti la possibilità di rendere esplicite, alla presenza di un pubblico ufficiale, le volontà da seguire sulle cure nel momento della malattia, soprattutto nel caso di perdita di coscienza. Come è ampiamente noto, e come hanno tragicamente dimostrato i casi di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro, in Italia la Costituzione (articolo 32) garantisce a tutti il diritto al rifiuto delle cure per il malato che lo chieda. Ma le certezze giuridiche si fermano di fronte a casi di incoscienza del paziente, di volontà non chiara o non espressa in precedenza dallo stesso e di incertezza della scienza e dei medici: il confine fra dovere di cura e accanimento terapeutico è indefinito. E qui si pone un problema di vuoto normativo che il legislatore italiano non ha colmato. Un vulnus che fece precipitare per giorni il nostro paese in una guerra lacerante. Sulla scelta delle ultime volontà infatti l’Italia, politici e società indistintamente, fu investita da un autentico furore ideologico. Ricordo ancora le dicotomie: il partito della vita contro il partito della morte, il diritto all’autodeterminazione e il dovere di vivere come imperativi assoluti. Si scatenò una battaglia violenta, di opposti valori, non conciliabili. Il tutto a scapito di una discussione sui principi e sulle regole laiche. E a fare le spese di questa guerra cieca furono soprattutto i cittadini, incerti sui loro reali diritti, e anche i medici, stretti fra la responsabilità professionale e i rischi di accanimenti ideologici.
Ho voluto ricordare quei momenti perché non vorrei che quel clima avvelenato ripiombasse su Milano, visto che alla sola notizia del deposito delle delibere di iniziativa popolare e dell’inserimento del tema nel Piano di zona si è già sollevato un vespaio. La discussione sul cosiddetto biotestamento va affrontata: ma per evitare fraintendimenti è bene puntualizzare alcune questioni.
Un primo aspetto che va chiarito è che le competenze comunali sono limitate e diverse da quelle del registro delle unioni civili, che invece regola e garantisce diritti sul piano amministrativo. Il Comune, infatti, non può legiferare, non può incidere sul piano civilistico, non può risolvere, neanche parzialmente, il problema posto dal caso Englaro, sul quale il parlamento italiano non è stato ancora in grado di dare una risposta, ovvero stabilire se la volontà del malato incosciente sia vincolante, in quale forma (scritta, orale, ricavata dallo stile di vita, come dice la Cassazione) e chi possa dare voce a questa volontà. Personalmente credo che queste risposte siano già contenute nei principi costituzionali, nel codice di deontologia medica, nella disciplina normativa sul «consenso informato », nella sentenza della Corte di cassazione del 2007. Da questo quadro emerge anche un compito preciso per il legislatore: il rispetto della persona umana, ma anche la responsabilità profonda del medico che in concreto può misurare la necessità di curare o l’accanimento terapeutico.
Quella comunale è dunque una competenza limitata anche se importante, non a caso supportata da migliaia di firme di cittadini. Importante perché l’istituzione di un luogo pubblico dove depositare i propri intendimenti permette un riconoscimento da parte degli amministratori di un gesto privato e al contempo offre la possibilità per chiunque di poter compiere una dichiarazione e di conservarla nelle forme corrette e utili. Ma altrettanto importante è la nascita di un registro sulle ultime volontà perché crea l’occasione per una discussione “laica” nel consiglio comunale di Milano, istituzione che rappresenta tutti i cittadini. Un dibattito che spero potrà essere un confronto rispettoso tra idee diverse, tenendo presente che la nostra Costituzione fa della volontà di autodeterminazione il carattere più profondo del concetto di persona (articolo 2) e che la stessa Carta, su proposta dell’onorevole Aldo Moro, richiede che i trattamenti sanitari, rifiutabili sempre tranne se previsti per legge, siano «rispettosi» della persona umana, quindi della sua dignità. Infine, un’occasione importante, spero, per creare in città un confronto aperto con la politica e la società civili sui confini fra libertà di cura e accanimento, rispetto delle persone e delle loro, differenti, scelte. Problemi nuovi, dove le conquiste scientifiche ci riaffidano per intero domande profonde sulla nostra natura e sul senso delle scelte individuali, nel nostro vivere insieme.
da EuropaQuotidiano 11.09.12
Pubblicato il 11 Settembre 2012