attualità, politica italiana

"Monti in cerca di un percorso condiviso", di Paolo Baroni

Alle imprese che battono cassa annunciando un «autunno bollente» e ai sindacati che parlano già di sciopero generale il governo risponde rigettando la palla nel loro campo. Prima di parlare di soldi, incentivi e sgravi – chi li chiede sulle tredicesime, chi sui contratti aziendali e chi sull’innovazione e la ricerca – Monti si aspetta che siano le parti sociali a mettersi d’accordo, a trovare il modo di superare quel gap di produttività che rappresenta una delle palle al piededelPaese.Poi,masolopoi, il governo deciderà come muoversi. E soprattutto quanto stanziare. Della serie «non chiedere quello che il tuo Paese può fare per te, chiediti cosa tu puoi fare per il tuo Paese», come recitava la frase di Jfk.

Nel giorno in cui l’Inps certifica un altro aumento della cassa integrazione (+18,7% ad agosto), un gigante dei microchip come la Stm di Catania mette in cig 2200 addetti per tre mesi e vicende come quelle dell’Alcoa restano nel limbo, imprese e sindacati hanno gioco facile ad alzare i toni. Ma è un gioco che in questa fase rischia di aver il fiato corto, tant’è che a metà giornata, dopo l’incontro col governo, il presidente di Confindustria dopo la boutade della mattina è costretto ad ammettere che, forse, l’autunno non sarà così bollente.

Alzare i toni, creare attriti, del resto non conveniente a nessuno. Né alle imprese, né ai sindacati (in parte divisi sulle ricette da adottare), né al governo. Che infatti, mentre assicura che manderà avanti in maniera spedita tutti gli interventi «di sistema» ovvero le misure sulle infrastrutture, la semplificazione fiscale e quella burocratica, la velocizzazione dei tempi della giustizia e la digitalizzazione del Paese, chiede alle parti sociali di riannodare i fili del dialogo ed attuare, in concreto, gli impegni indicati da loro stessi nell’accordo dell’anno passato sui contratti aziendali. Monti batte molto su due tasti: «dialogo comune» e «proposte condivise». E’ questa per il presidente del Consiglio la via da imboccare per abbattere il nostro gap di produttività. Si tratta infatti di intervenire su quella miriade di fattori che imbrigliano le nostre imprese e impediscono loro di correre alla velocità dei mercati di oggi, non ultima la possibilità di derogare ai contratti nazionali per aumentare la flessibilità legando anche i salari alla produttività.

Quanta strada ci sia ancora da fare lo testimonia il nuovo rapporto del World Economic Forum sulla competitività pubblicato giusto ieri. Nonostante le tante riforme avviate (ma a dire il vero non completamente tutte attuate) l’Italia, rispetto all’anno passato, ha recuperato appena una posizione nella graduatoria mondiale e si attesta su un davvero modesto 42° posto. A pesare sono sempre le debolezze strutturali dell’economia, a cominciare dal mercato del lavoro, uno dei più inefficienti in assoluto secondo il Wef. Siamo infatti addirittura al 127° posto, roba da Terzo mondo insomma. Dato che spiega più di altri perché da noi è tanto difficile fare impresa e creare nuovi posti di lavoro. E poi, ancora una volta, scontiamo altre debolezze «istituzionali» come gli alti livelli di corruzione e crimine organizzato e la percepita mancanza di indipendenza del sistema giudiziario.

Messi tutti assieme questi sono esattamente i temi che il governo ha inserito nel cronoprogramma messo a punto al termine dell’ennesima maratona del Consiglio dei ministri. Perché questo grande piano si realizzi occorrono però altre condizioni: occorre che la macchina pubblica marci spedita, senza cedere alle pressioni di lobby e interessi particolari, e che le forze di maggioranza non ostacolino il lavoro del governo. Perché il tempo è poco, i soldi sappiamo che scarseggiano e non vanno sprecati, la strada è in salita, e sarebbe bene evitare altri intralci o ritardi nel cammino che ci porterà fuori dal tunnel.

La Stampa 06.09.12