Non è facile orientarsi, in questi tempi strani. In questo Paese strano. Dove nulla comincia e nulla finisce davvero. Non è facile capire di che si discuta. Le questioni, gli eventi, gli attori. Dissociati dal contesto originale. Oppure, ricollocati in un contesto diverso.
Le polemiche sulla trattativa fra Stato e mafia. Ha coinvolto il presidente Napolitano e i magistrati di Palermo. Anche se i fatti di cui si discute sono avvenuti vent’anni fa. Nel 1992. Il crinale fra la Prima e la Seconda Repubblica. Quando Falcone e Borsellino vennero massacrati, insieme alla scorta, in due diversi attentati. A pochi mesi di distanza. Episodi tragici, parte di una strategia concepita da «menti raffinate» che tendeva a «mantenere l’esistente ed a fermare la spinta al cambiamento », ha osservato Piero Grasso, capo della Direzione nazionale antimafia. Il quale ha aggiunto che, come nel 1992, oggi sarebbe in atto «una ulteriore destabilizzazione (…) contro la magistratura e contro il capo dello Stato». Vent’anni dopo, dunque, la storia si ripete. Stessi attori, stesse questioni, con volti e nomi – talora, ma non sempre – diversi. Gli echi del passato sono tanti, troppi, per non suscitare sospetto.
Vent’anni fa – più uno – si era celebrato il referendum che riduceva a una sola le preferenze. In pratica: ne limitava il “mercato”, che favoriva il controllo delle lobbies, degli uomini e dei gruppi di potere sulla società e sul territorio. Vent’anni fa – meno uno: nel 1993 – altri referendum avviavano il maggioritario al Senato. Mentre la Bicamerale trasformava la legge elettorale della Camera in un sistema misto, in prevalenza maggioritario. Il famoso Mattarellum, tanto criticato prima di essere sostituito per iniziativa del centrodestra, nel 2005, dal famigerato Porcellum. Vent’anni fa – meno uno – veniva approvata la legge che stabiliva l’elezione diretta dei sindaci per rispondere alle domande di autonomia espresse sul territorio, soprattutto – ma non solo – nel Nord. A cui la Lega – ma non solo – aveva dato voce. Vent’anni fa – uno più, uno meno – i partiti tradizionali – di governo e di opposizione – si sfaldavano. Fiaccati dal voto del 1992. E soprattutto da Tangentopoli. Si rifondavano. La Dc e il Pci. Si ri-nominavano. Si dividevano. Fra post e neo. E si redistribuivano fra i due schieramenti. Vent’anni fa – uno più, uno meno – Silvio Berlusconi si preparava a scendere in campo. Vent’anni fa: il Paese si dibatteva in una crisi economica pesante, condizionata da un debito pubblico enorme. I governi dell’epoca, affidati a ministri “tecnici”, come Amato, Dini e Ciampi, vararono manovre finanziarie onerosissime. Vent’anni fa, l’Italia chiudeva un lungo ciclo della propria storia. Condizionata dalla presenza di grandi organizzazioni illegali, radicate sul territorio. Mafia e camorra, in particolare. Sfidate, soprattutto, dalla magistratura e dai magistrati – oltre che da esponenti politici e della società civile. Con grande sacrificio di vite umane. L’Italia: al confine fra l’Occidente democratico (e capitalista) e i sistemi socialisti dell’Est. Percorsa da tensioni, spioni, attentati e complotti. Ispirati dall’esterno oltre che dall’interno.
Vent’anni fa: il cambiamento, a lungo annunciato, infine, irrompeva. Tumultuoso. Ma disordinato, privo di un disegno chiaro. Promosso da diversi attori e diversi soggetti. Con interessi
e progetti diversi. Attraverso referendum, elezioni locali, svolte elettorali, inchieste giudiziarie e spinte territoriali.
Vent’anni dopo – anno più, anno meno. È lecito dubitare. Che quella svolta, quella frattura, quel cambiamento: abbiano prodotto i risultati annunziati. Sperati. Vent’anni dopo. Si parla ancora e sempre di Tangentopoli. Di referendum elettorali e di nuove leggi – che correggano l’ennesima degenerazione scaturita dalle mediazioni dei partiti. Con un nuovo sistema di voto, che rischia di fare rimpiangere il Porcellum. E verrà, puntualmente, sanzionato da una nuova, ironica definizione di Giovanni Sartori. Vent’anni dopo. Si continua a parlare di federalismo e di autonomie locali. Vent’anni dopo. Si parla ancora di ritorno del Centro, della nuova Dc. E se il comunismo è finito, l’anticomunismo c’è ancora. Agitato come una bandiera. Vent’anni dopo. Governano i tecnici. Berlusconi ha concluso il suo ciclo, ma incombe. Vent’anni dopo. Sempre lì. In attesa di nuove elezioni di svolta. A discutere di vent’anni fa. Vent’anni dopo e vent’anni prima. Le stesse questioni, le stesse polemiche, le stesse vicende, gli stessi attori. Come se, in vent’anni, niente fosse cambiato. O forse perché i cambiamenti sono avvenuti in modo contraddittorio. Eludendo i problemi invece di risolverli. Perché il cambiamento si è realizzato senza aver fatto davvero i conti con il passato. Senza aprire le pagine più scure della nostra biografia. Le leggi elettorali: modificate per via referendaria o compromissoria. Sempre a metà, fra maggioritario e proporzionale. Come la forma dello Stato: un presidenzialismo di
fatto. Affermatosi per l’inerzia e l’impotenza dei partiti principali. Personalizzati e, anzi, “personali”. Mediatizzati. Hanno lasciato i cittadini «orfani, privi di concezioni generali, di una filosofia » (Per citare Berselli). Il federalismo e le autonomie locali. «Parole e nient’altro che parole ». Realizzati senza ridurre il centralismo dello Stato e lo Stato centrale. Il rapporto fra la politica e gli affari. Eluso. Rimosso. Come se Tangentopoli avesse risolto tutto. Come se la Prima Repubblica fosse finita insieme a Craxi e Andreotti. Così le collusioni fra poteri politici, istituzioni settori dello Stato e organizzazioni illegali. Mafiose e non solo. Hanno attraversato la nostra storia, ma non si sono concluse nel 1992. Sono proseguite e proseguono ancora. Come dimostrano le inchieste dei magistrati, che hanno coinvolto importanti protagonisti della politica e della vita pubblica.
Per questo ci scopriamo a discutere dei fatti e dei misfatti di vent’anni fa come fossero avvenuti oggi.
Perché i conti con il passato non li abbiamo mai chiusi davvero. Ma proprio per questo bisogna fare chiarezza. Senza indulgenza e senza reticenza, su quel che è avvenuto allora e poi. Soprattutto e anzitutto per quel che riguarda i rapporti fra istituzioni, politica e organizzazioni illegali. Un vizio inaccettabile per un Paese che voglia davvero voltare pagina. Nessun sospetto, nessuna zona d’ombra, a questo proposito, è tollerabile. Nelle trattative fra Stato e mafia. Oggi come ieri. Per non restare intrappolati nei meandri della nostra cattiva coscienza nazionale. Impegnati a guardare e a correre. Avanti verso il passato.
La Repubblica 03.09.12
Pubblicato il 3 Settembre 2012