Non più giovanissimi, a volte demotivati, pieni di voglia di fare nonostante le difficoltà oggettive moltiplicate dalla crisi economica: sono gli insegnanti italiani, oltre 700 mila persone che ogni anno cercano di istruire i quasi 8 milioni di studenti delle 9.500 scuole statali di ogni ordine e grado. Non ci sono solo i 600 mila docenti di ruolo, che percepiscono regolarmente uno stipendio che va dai 1.300 a 2.000 euro in base all’anzianità, con ferie e tredicesima retribuite: ci sono anche 60mila insegnanti di sostegno e 50 mila precari, che in questi giorni aspettano con ansia di essere richiamati in servizio per cominciare a lavorare, ma senza ferie retribuite e con la malattia pagata solo al 50% se l’incarico non è annuale. La maggior parte è donna, il 79,4%. E moltissimi non sono più giovani: se l’età media degli insegnanti di ruolo è 49 anni (dati del ministero dell’Istruzione), nel 2007-2008 più della metà dei docenti italiani in servizio nella scuola secondaria era over 50, tra i più vecchi in Europa, mentre nella scuola primaria e dell’infanzia si trovano docenti di 42 anni in media.
Le nuove immissioni in ruolo contribuiscono solo parzialmente ad uno svecchiamento: l’età media di chi è nelle graduatorie ad esaurimento è di 39 anni. I precari spesso cambiano regione, pur di continuare a fare supplenze. E quando finalmente arriva la chiamata per la messa in ruolo devono sottoporsi ancora ad un anno di prova, con tanto di giudizio finale di commissione. A volte la vita del docente definitivo non è facile, «tra scartoffie da compilare per i test Invalsi, classi sovraffollate, un budget per la formazione ridicolo, 8 euro circa a insegnante, e materiali da elemosinare alle famiglie», sintetizza Mimmo Pantaleo, Cgil scuola. Eppure hanno un’energia straordinaria che spendono tutta per i propri ragazzi.
«Ho 35 anni, sono vincitrice di concorso, lavoro nella scuola da 13 anni, ma sono ancora precaria — racconta Simona Aquilano Monetti, Torino —. Avevo solo 60 persone davanti a me, pensavo di essere assunta: invece ne hanno presi 29. Pazienza, anche quest’anno ricomincerò daccapo e magari tenterò il concorso. A darmi la forza sono i bambini che anche a distanza di anni mi raccontano i loro successi. E i progetti che seguo con passione».
Caterina Altamore, 39 anni, di cui gli ultimi 17 passati nella scuola, è diventata famosa per i suoi scioperi della fame davanti a Montecitorio. «Forse sono serviti, visto che finalmente a ottobre avrò l’immissione in ruolo. Adesso sto insegnando a Palazzolo sull’Oglio (Brescia) lontana da mio marito e dai miei tre figli, e non potrò richiedere il trasferimento per altri 5 anni. Nonostante tutto, continuo a credere in questo lavoro: quello che mi dispiace è che non si investa di più nella scuola, che rappresenta il nostro futuro, il futuro di tutti».
«Insegno nelle scuole medie da 33 anni — dice Teresa Magna, Vallo della Lucania (Salerno) — Sono entrata in ruolo nell’87, dopo 7 anni di supplenze. Speravo di andare in pensione ma la legge Fornero ha fatto slittare la possibilità di alcuni anni. A volte sono stanca, perché faccio fatica ad adeguarmi a lavagne elettroniche e strumenti multimediali. Ci viene richiesto sempre di più ma i fondi diminuiscono».
Ma com’è cambiato il panorama dell’insegnamento, gloria del nostro dopoguerra? «Nella seconda metà del Novecento c’è stato uno sviluppo enorme del comparto scolastico — commenta l’esperto di politiche scolastiche Benedetto Vertecchi — bisognava superare il gap di istruzione, con un solo bambino su 4 che proseguiva gli studi. Ma lo sviluppo è stato solo quantitativo, non qualitativo: e tutte le difficoltà sono state ricacciate sulla testa degli insegnanti. Lo Stato ha inseguito l’obiettivo della prima scolarizzazione senza curarsi della necessità di avere edifici scolastici adeguati, delle aspettative e delle motivazioni della domanda sociale, della cultura dell’educazione: è stata una follia». Il nuovo concorso rinfrescherà la classe docente? «Più che sul concorso, bisognerebbe concentrarsi su come rendere adeguata la cultura della scuola per non produrre un’altra classe di docenti frustrati, demotivati, malpagati. Se potessi dare un consiglio a un nuovo insegnante, gli direi: cura la tua qualità culturale, è l’unica arma che può salvarti».
Il Corriere della Sera 02.09.12
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“È guerra tra precari e laureati”, di Roberto Ciccarelli
Il 2014 sarà l’anno zero della scuola, sostiene il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo. E non potrebbe essere altrimenti visto che non basterà essere iscritti da un decennio e più ad una graduatoria ad esaurimento (Gae) per aspirare ad un posto di ruolo da insegnante. Centosessantatre mila docenti precari, decine di migliaia abilitati alle scuole d’insegnamento (Siss), dovranno sperare di superare, ogni due anni, un concorso sgomitando con i neo-laureati e coloro che avranno superato il «tirocinio formativo attivo» (Tfa). La prova generale di questa guerra senza quartiere avverrà il prossimo 24 settembre quando sarà bandito un concorso per 11.892 posti (i test preliminari sono previsti a ottobre, gli scritti a dicembre), oppure la prossima primavera quando sarà bandito un altro concorso per 10 mila persone. I precari che non riusciranno a strappare un posto in questa doppia tornata resteranno in graduatoria, in attesa di una supplenza, ma senza diritto all’assunzione. Per raggiungere questa chimera dovranno sottoporsi ad un infernale gioco dell’oca in cui saranno obbligati a ripetere la stessa prova che hanno già superato nel 1991, nel 1999, oppure con l’esame di stato conclusivo del corso abilitante delle Siss o del Tfa. Coloro che invece non ci sono mai entrati in una graduatoria, dovranno saltare un turno e attendere il concorso successivo.
Ammesso, e non concesso, che i posti messi a concorso ogni biennio saranno sempre gli stessi, per esaurire le graduatorie ci vorrà probabilmente una generazione, o forse più, sfidando i limiti biologici degli aspiranti docenti in ruolo la cui età media sfiora i 47 anni. Da questi calcoli vanno escluse le 21.112 stabilizzazioni autorizzate dal precedente governo (Gelmini-Tremonti) che si sono concluse il 31 agosto, una misura resa necessaria per assorbire il numero dei pensionamenti. Tutto questo avverrà con le procedure concorsuali in vigore dal 1990, e mai più aggiornate. Allora erano riservate a «semplici laureati», oggi serviranno impropriamente a valutare abilitati iscritti alle graduatorie, quelli che non hanno potuto farlo visto che l’accesso alle Gae è precluso dal 2009, e i laureati entro l’anno accademico 2003. Quello che è certo, oggi, è che i diritti – e l’esperienza – accumulati in anni di precariato nella scuola rischiano seriamente di valere un centesimo bucato.
Dai sindacati trapelano preoccupazioni e una denuncia. Quella del segretario Flc-Cgil Domenico Pantaleo per il quale il «vero obiettivo del ministro Profumo è cancellare le graduatorie e con esse i precari che da anni garantiscono il funzioinamento delle scuole». Per la Cgil è necessario un piano pluriennale di stabilizzazioni che svuoti le graduatorie; determinare il fabbisogno di nuovi docenti in base al tempo pieno e al numero degli alunni per classe (che deve essere ridotto) e infine procedere alle nuove assunzioni. Dalla Cisl invitano il ministro ad un maggiore realismo: «Quando si affronta l’argomento del precariato – afferma Francesco Scrima – si deve andare cauti e con i piedi di piombo; la conflittualità in atto tra docenti abilitati e laureati non abilitati che rivendicano il concorso di settembre ne è un esempio lampante». Massimo Di Menna della Uil ribadisce la necessità di «trovare un sistema di reclutamento che faccia modo che i giovani laureati possano accedere direttamente all’insegnamento dopo il concorso».
Nel marasma sono passate quasi inosservate le dichiarazioni di Profumo sull’aumento delle tasse universitarie e, soprattutto, quelle sull’introduzione del prestito d’onore. Per quanto riguarda l’aumento delle rette, escluso dal titolare di Viale Trastevere, gli studenti del coordinamento universitario Link ribadiscono che ci sarà, e sarà pari a 256,75 euro per i fuoricorso con un Isee inferiore ai 90 mila euro. Le tasse potrebbero passare da 1027 a 1283 euro. Gli studenti della Rete della conoscenza denunciano anche l’intenzione di Profumo di introdurre il «prestito d’onore», in anni in cui le borse di studio sono state tagliate senza pietà. Nelle intenzioni del ministro questa misura dovrebbe ispirarsi al modello asiatico, perchè quello statunitense è troppo oneroso. Il 2012 è stato infatti un anno nero per gli studenti Usa. Il loro debito ha superato per la prima volta quello delle carte di credito. Per chi, ad esempio, conosce la realtà studentesca giapponese queste affermazioni suoneranno come l’ennesima gaffe. L’80 per cento degli studenti giapponesi laureati deve ripagare un debito medio di 8.800 euro alla Japan Student Service Organization (Jasso), un’azienda privata di riscossione che ha il compito di denunciare alle autorità bancarie chi non ripiana il debito. Le pene previste vanno dalla chiusura dei conti correnti al blocco delle carte di credito fino all’arresto degli studenti inseriti in una «lista nera». Forse il governo Monti sta progettando un ampliamento delle competenze di Equitalia?
Il Manifesto 02.09.12
Pubblicato il 2 Settembre 2012