La legge elettorale, insieme alla canzone «Non vivo più senza di te» di Biagio Antonacci, è il vero tormentone dell’estate. Si fa o non si fa? Lo chiediamo a Dario Franceschini che non chiude la porta al dialogo ma ribadisce la sua contrarietà all’ipotesi del premio di maggioranza alla lista anziché alla coalizione: «Il premio al partito spinge inesorabilmente a costruire liste eterogenee in cui si mette dentro di tutto pur di prendere un voto in più e porta all’instabilità».
Franceschini gli elettori assistono ad un estenuante stop and go. Il finale quale sarà?
«Guardi che il Pd questa riforma elettorale vuole assolutamente farla, la legge “porcata” l’abbiamo subita per decisione altrui e non è pensabile tornare a votare con una legge che toglie agli elettori il diritto di scegliersi gli eletti».
Va bene, ma a che punto siete?
«Una legge, per essere approvata, necessita di una maggioranza in Parlamento e di un accordo almeno tra i partiti che appoggiano Monti. La nostra proposta era per il doppio turno alla francese ma ci siamo aperti ad una mediazione pur di non rimanere con il Porcellum. Detto questo
ogni mediazione ha dei limiti invalicabili».
Il premio di maggioranza alla coalizione è irrinunciabile per voi?
«È uno dei due punti di distanza, assieme alle preferenze, tra noi e il Pdl. Ma vorrei spiegare perché diciamo sì al premio alla coalizione e non alla lista e preferiamo i collegi uninominali alle preferenze. Non c’è traccia di calcolo, ricerca di vantaggio per il Pd. Ma è un ragionamento di sistema ».
Nel senso?
«L’Italia del dopo Monti ha bisogno di stabilità e i premi alla lista portano invece nella direzione opposta. Le faccio un esempio: mettiamo che la lista vincente prenda il 30 per cento. Con un premio in seggi del 12, 15 per cento arriverebbe attorno al 42, 45 per cento dei seggi. Ogni scelta sulla maggioranza, sul premier, sulla larga coalizione o meno, viene dunque rinviata al dopo elezioni. Non solo: la maggioranza può anche cambiare nel corso di una legislatura. Non è certo di questo che ha bisogno l’Italia. Il premio alla coalizione garantisce al contrario chiarezza di fronte agli elettori e governabilità. Confesso che, all’inizio della legislatura, anch’io avevo immaginato che un bipolarismo italiano, basato su Pd e Pdl, potesse anche reggere in un sistema proporzionale ma il caos della destra e il fenomeno Grillo dicono che il proporzionale con correttivi insufficienti genera instabilità».
A proposito di Grillo, concorda con chi lo accusa di avere un linguaggio di sapore fascista?
«Ci vedo populismo e demagogia ».
«Torniamo all’altro nodo: le preferenze.
«Mi vengono in mente le politiche del 1992. Fu l’ultima volta che si votò con le preferenze ed è proprio dai costi di quella campagna elettorale che partì Tangentopoli.
Le preferenze moltiplicano per mille i costi e finisce che viene eletto chi ha più soldi da spendere. Sarà un caso che Francia , Inghilterra, Spagna e Germania, votino con collegi uninominali o piccole liste bloccate e non con le preferenze?
Allora le rifaccio la domanda iniziale. Si fa o non si fa la riforma elettorale?
«C’è spazio e tempo per costruire un’intesa alla luce del sole in Parlamento».
Si è parlato di uno scambio cui il Pdl sarebbe interessato: accordo sulla legge elettorale in cambio di elezioni a novembre.
«Se qualcuno vuol far cadere il governo Monti lo deve dire con chiarezza, non cerchi accordi con noi».
Passiamo a Matteo Renzi. Dice che se vince le primarie, manda via tutti i dinosauri. Paura di perdere il posto?
«Appartengo al gruppo dei “graziati” da Renzi perché sono in Parlamento da meno di 15 anni… Vorrei ricordare però che queste primarie servono per scegliere il presidente del consiglio e ci si candida a sostituire Monti. Quelle per scegliere il segretario del partito e i nuovi gruppi dirigenti del Pd si terranno il prossimo anno».
La Repubblica 31.08.12