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"Chi lavora per un’uscita neo-giacobina dalla crisi", di Michele Ciliberto

Merita una breve riflessione la vivace discussione sulle posizioni politiche di Grillo e sul linguaggio che usa sul suo blog. Quali ne sono gli obiettivi, di quale ideologia esso è espressione (posto, naturalmente, che, come io penso, una domanda di questo tipo abbia senso)? Volendo usare una formula, approssimativa come tutte le formule, credo si possa qualificarla come una ideologia di tipo neo-giacobino.
Ora, perché il movimento di Grillo, basato su una ideologia di questo tipo cresce e si espande? La risposta sembra semplice e scontata: per la crisi della democrazia italiana di cui è al tempo stesso effetto e motore, e per il disprezzo oggi così diffuso verso la politica e le istituzioni rappresentative. Giusto. Ma non è una risposta sufficiente; bisogna approfondire, e per farlo occorre sottolineare questo termine: «rappresentativo», perché qui sta il punto decisivo.
Quelli che si riconoscono in Grillo sono contro la democrazia rappresentativa ma non, in generale, contro la democrazia. Sono per la democrazia diretta, e non è una differenza da poco. Anzi, essi contrappongono democrazia diretta imperniata sul web e democrazia rappresentativa, vedendo in questa l’origine di tutti i mali. L’antipolitica di cui tanto si parla, al fondo, è precisamente questo: un rifiuto drastico, e totale, della democrazia rappresentativa. In questo senso, l’ideologia di Grillo è un effetto e, al tempo stesso, una proposta di soluzione della crisi della sovranità aperta da tempo in Italia e acuitasi al massimo con la decomposizione del berlusconismo. Sta qui l’origine delle sue scelte politiche e anche del suo linguaggio: la democrazia diretta, infatti, è strutturalmente estremista, oltranzista, e sfocia naturaliter nel dispotismo perché cancella la divisione tra i poteri, come ci hanno spiegato i classici.
Da questo punto di vista l’ideologia di Grillo è spia, e indice, di processi profondi della nostra società, e perciò riscuote consensi. Quelle che oggi sono in discussione sono infatti le forme di soluzione della crisi della democrazia italiana e le prospettive, e le alleanze, attraverso cui questo può avvenire. Problema, e discussione, assai vasti perché in campo è una pluralità di opzioni (compresa, ovviamente, quella di tipo tecnocratico). Qui mi soffermo però solo su questa alternativa: se si debba procedere in direzione della democrazia diretta e verso una soluzione in termini neo-giacobini della crisi (senza peraltro che sia stato chiarito di cosa, in effetti, si tratti); o se si debba lavorare, e in che modo, per ricostruire le basi, e le forme, della nostra democrazia rappresentativa.
Ridotti all’osso, e semplificando, sono questi i termini dello scontro che c’è stato in questi giorni. Oggi si contrappongono frontalmente, e in modo violento, opposte opzioni su quali debbano essere, dopo la decomposizione del berlusconismo, le fondamenta della Repubblica, a cominciare dai rapporti fra i poteri: esecutivo, legislativo, giudiziario. È perciò che in questo periodo si sono intensificati, da un lato, la frantumazione e la scomposizione dei vecchi schieramenti; dall’altro la tendenziale ricollocazione di tutte le forze in campo, con il prodursi di convergenze e, parallelamente, di conflitti che fino a poco tempo fa sarebbero apparsi impensabili.
Qualora questa analisi abbia un fondamento un punto appare chiaro: se nel quadro di una normale dialettica politica le forze che si dichiarano progressiste intendono fermare il movimento di Grillo, o limitarne il consenso, esse devono avere la piena consapevolezza della posta in gioco che tocca il problema della sovranità nel nostro Paese, e richiede perciò di essere considerata a un duplice livello. Quello che segnala la crescita del movimento di Grillo è, precisamente, questa forte esigenza di democrazia diretta presente, in varie forme, nel nostro Paese. Questo è, oggi, il problema di fondo per le forze che si dicono progressiste, sia sul piano teorico che su quello politico. E in questo quadro anche le primarie possono essere uno strumento importante, ma senza pensare che esse possano risolvere, da sole, un problema vasto e complesso come questo.
Quella che è aperta in Italia è una partita assai difficile, che peserà sul futuro. Ma non si tratta di un problema solo italiano. Il partito dei pirati che ha conseguito un importante, e sorprendente, risultato alle ultime elezioni amministrative a Berlino, ha fatto suo il motto di Willy Brandt: «Osare più democrazia», sostenendo una visione radicale della democrazia diretta attraverso l’uso di internet e una riduzione dei propri rappresentanti alla funzione di delegati, cancellando anche in questo caso il momento della mediazione. In altri termini, il partito dei pirati ha rovesciato in modo integrale il rapporto tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa.
Questa è la posta in gioco, anche in Italia. E ha ragione Roberto Weber: sbaglia chi dà per acquisita la vittoria delle forze progressiste. In Italia una soluzione neo-giacobina (continuo a usare questa formula approssimativa) può anche prevalere. È diventato ormai di moda usare il termine populismo in modo indifferenziato (le parole si consumano!) e i neo-giacobini ne sono, certo, una specie; ma assai particolare. Se sono pericolosi per la democrazia rappresentativa, come i tecnocrati o altri tipi di populisti, non lo sono pero allo stesso modo. Siamo seduti su un vulcano; bisognerebbe prenderne coscienza, una volta per tutte.

L’Unità 30.08.12