Berlusconi chiede il voto a novembre. «Non abbiamo scelta, il 2013 è troppo lontano, le procure mi perseguitano, i giudici vogliono condannarmi prima della campagna elettorale». L’accelerazione matura nel giro di 24 ore. Maturas otto una coltre di palude apparente nelle trattative tra Pdl e Pd sulla legge elettorale.
Prende corpo nel fortino di Palazzo Grazioli, dove il Cavaliere si precipita dalla Sardegna chiamando d’urgenza a rapporto i suoi: Alfano, Verdini, Ghedini, Bonaiuti. Ed ecco la svolta: bisogna fare in fretta, approvarla subito, la riforma. Sul leader — ed è la novità che l’avvocato dell’ex premier porta al gabinetto di guerra — incombe il rischio assai concreto di una condanna in primo grado tra novembre e dicembre. La mannaia del processo Ruby. La maledizione che lo perseguita. L’incubo di una campagna elettorale da condurre da gennaio a marzo, da candidato presidente del Consiglio, con il fardello di una sentenza funesta per quei reati infamanti. Ai timori per il caso Ruby si aggiungono inoltre — come ha raccontato nei giorni scorsi il Giornale — quelli per nuove inchieste che, secondo il Cavaliere, sarebbero in procinto di essere formalizzate contro di lui a Napoli e a Bari.
Impiegano poco tempo, i fedelissimi seduti nel salotto di via del Plebiscito, per comprendere che passa adesso l’unico treno per evitare la catastrofe. Approvare in pochi giorni la legge elettorale, anche alle condizioni degli avversari del Pd, a patto di convincere Monti alle dimissioni e Napolitano ad anticipare il voto a novembre. È un cambio di prospettiva repentino, un’inversione totale nella strategia Pdl. Gli sherpa Quagliariello e Verdini si preoccupano di informare la segreteria dei democratici, Bersani, Migliavacca. Ma viene affidata a Gianni Letta la missione più delicata. Perché nulla può maturare se il Quirinale è all’oscuro, se non acconsente alla svolta. L’ex sottosegretario informa il Colle in via informale nello stesso pomeriggio. Fa sapere che il Pdl è disponibile alla bozza quasi concordata col Pd: piccoli collegi, premio di maggioranza del 15 per cento al partito che ottiene più voti. A una condizione, però, che tutto avvenga nel giro di pochi giorni e si vada al voto entro novembre. Condizioni, paletti che la presidenza Napolitano non potrebbe mai accettare. Dopo molteplici appelli ai partiti caduti nel vuoto, occorre che si faccia la legge elettorale. E al più presto. Quel che verrà dopo sarà frutto della concertazione tra i partiti, ma mai il Colle potrebbe avallare un condizionamento di quel genere. È un netto rifiuto di cui al quartier generale berlusconiano devono prendere atto. Tanto più che della «strana intesa» ai vertici dei democratici, impegnati nella festa di Reggio Emilia, dicono di non sapere nulla. In ogni caso, Pier Luigi Bersani sarebbe nettamente contrario. «A quel capestro il partito non può sottostare ». Nulla ne sa Pier Ferdinando Casini: «Nessuno ci ha interpellati e siamo contenti di essere fuori da questo gioco binario, in cui non intendiamo entrare».
Le notizie di quanto sta maturando nei palazzi romani raggiungono indirettamente il presidente del Consiglio Mario Monti. Giusto nelle ore in cui sta lasciando Roma alla volta di Berlino. Le indiscrezioni accrescono le tensioni della delicata vigilia del vertice con Angela Merkel. Il Professore è convinto di poter raggiungere un’importante intesa dal confronto a quattr’occhi con la collega, proprio sul tetto antispread al quale lavora da almeno tre mesi, nonostante le ostilità della Banca centrale tedesca. Dalla Germania i timori sono legati proprio al futuro italiano dopo Monti. E un voto anticipato con l’incognita di una nuova frammentazione all’italiana all’indomani delle elezioni, viene considerata una iattura per la stabilità della stessa moneta unica. Palazzo Chigi fa sapere di non essere stato informato delle trattative
sulla riforma elettorale. Ma «interrompere il percorso adesso farebbe saltare tutto», è il messaggio che filtra, si rischia di compromettere tutto quanto è stato fatto finora.
Giusto oggi tornerà a riunirsi a Palazzo Madama il comitato ristretto che avrebbe dovuto presentare una bozza di accordo sulla legge voto. Ma tutto è destinato a saltare. Uno dei relatori, Enzo Bianco (Pd), in una nota lo anticipa a chiare lettere: ‘‘Non arrivano a tutt’ora indicazioni definite su alcuni punti qualificanti della riforma della legge elettorale, da parte delle maggiori forze politiche’’. Così, nel pomeriggio Bianco e Lucio Malan (l’altro relatore del Pdl) metteranno sul tavolo un ‘‘documento che evidenzia sia i punti di intesa, sia quelli in cui permangono differenti valutazioni, in modo che i lavori possano proseguire il più speditamente possibile». Ma è un bluff, un gioco delle parti. Sarà l’ennesimo rinvio per prendere altro tempo. Il presidente del comitato, Carlo Vizzini, ne è consapevole e passa alle contromisure. «A questo punto prenderò atto dello stallo e comunicherò l’immediata convocazione dell’ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali del Senato e della stessa commissione nella sua interezza per martedì o mercoledì prossimo. All’ordine del giorno: la discussione della nuova legge elettorale. Allora, tutti i giochi andranno fatti alla luce del sole e ogni partito si assumerà la responsabilità di dichiarare il perché dei propri veti in un verbale parlamentare».
Ma basterà questo monito per convincere partiti e leader laddove nemmeno il Quirinale è riuscito? Il comitato ristretto, che avrebbe dovuto garantire una corsia preferenziale alla riforma, intanto, si è trasformato nell’ennesima trappola.
La Repubblica 29.08.12