In questa torrida estate l’Italia è assediata dal fuoco. Nella mappa degli incendi che divorano boschi e macchia non è risparmiata nessuna parte del Paese: dalla Liguria alla Sicilia, dalla Toscana alla Calabria. Oltre l’88 per cento, secondo le stime più caute, sono incendi dolosi, l’autocombustione è un fenomeno marginale di un disastro ecologico di vaste proporzioni. Sono stati arrestati alcuni piromani, ma le forze dell’ordine hanno dichiarato che in molti luoghi sono stati ritrovati primitivi congegni a lenta combustione: in modo che l’incendiario possa porsi al riparo da ogni personale rischio. La simultaneità di questi roghi, che investono vasti fronti di fuoco, rende il lavoro – rischioso e costoso – del Corpo forestale e della Protezione civile un’impresa che non è retorico definire disperata. Il caso dell’incendio doloso appiccato a Monte Mario, nel cuore della capitale del Paese, è un segno di una disfatta che fa il paio con l’incendio dei Camaldoli a Napoli. Non mi pare che qualcosa di simile si registri a Barcellona o a Marsiglia.
Il mare di fuoco dilaga in ogni direzione: dalle cronache si raccolgono i lamenti e la rabbia di amministratori e comuni cittadini che spesso hanno visto con i propri occhi l’impotenza dei mezzi messi in campo dallo Stato per fronteggiare queste calamità. E non è a dire che siano gli uomini preposti a questo servizio a venir meno al loro compito, anzi la loro abnegazione – volta fino al personale sacrificio – serve a mettere in luce la debolezza di un quadro operativo che sia capace di programmare un’organica politica di prevenzione. Qualche sera fa il responsabile della Protezione civile, Franco Gabrielli, ha detto al G7, senza giri di parole, che, con i tagli previsti dalla Finanziaria per l’anno prossimo, saranno dimezzati i canadair di cui dispone questo servizio essenziale dello Stato. C’è da auspicare che il governo dinanzi a tale spettacolo ci ripensi.
In taluni casi è stato denunciato il sabotaggio degli acquedotti in modo da rendere impossibile l’opera di spegnimento, o l’ostruzione delle strade per giungere ai roghi. Si è ben oltre la così detta «calamità naturale», siamo propriamente al disegno delittuoso. Al bollettino della guerra in corso, fa eco il fronte della siccità che sta arrecando danni ingentissimi alle colture, agli animali e alle popolazioni di queste terre. La siccità è un fenomeno antico, ma in qualche misura nuovo per le proporzioni che ha assunto: Leonardo Sciascia, in un profetico scritto, ne spiegò le ragioni, come meglio non si potrebbe.
La Campania, dalla Penisola Sorrentina fino al Cilento, ha il triste primato di roghi divampati, ma in tutto il Paese gli incendi sono, fino ad oggi, cresciuti del 79%. In un solo giorno, ad esempio domenica 19 agosto, ci sono stati 155 incendi boschivi. L’Italia, che ha risorse naturalistiche risicate, sta dilapidando un patrimonio, in molti casi di eccezionale bellezza, che è difficilmente riproducibile – comunque con tempi molto lunghi – e la cui distruzione innesca una serie di frane e alluvioni che immancabilmente si verificheranno. Infatti, la morfogenesi delle frane e delle alluvioni è la diretta conseguenza, nelle dorsali collinari che solcano la penisola, e in quelle montane, del disfacimento di quel sistema di drenaggio dei suoli sui quali sono cresciuti nei secoli i boschi. L’abbandono da parte dell’uomo di vaste zone appenniniche ha fatto sì che il sottobosco sia divenuto terra di nessuno. Il fatto più drammatico è che le regole elementari che governano questi monumenti naturalistici sono disattese in primo luogo da chi dovrebbe assicurarne il rispetto.
Il risicato patrimonio collettivo di verde in questi anni ha subito un gravissimo e irreparabile saccheggio. Per costruire un bosco ci vogliono almeno cinquant’anni, in taluni casi di più: se domani stesso si avviasse una politica organica per ripiantumare i boschi andati in fumo, ne godrebbero i nostri nipoti. In questa condizione, disperatamente orwelliana, si sente il bisogno di un risveglio delle coscienze e di una politica adeguata, che non mi sembra ci sia. Un bosco con piante secolari andrebbe curato come un organismo vivente, quale è, le cui leggi bisogna rispettare. La funzione dei boschi non significa solo produzione d’ossigeno per un Paese assai densamente popolato, largamente cementificato e inquinato, dove industrie senza controllo continuano ad esercitare l’odioso ricatto del lavoro. Incendi, siccità e alluvioni sono una perversa catena che va spezzata. Gli incendi dei boschi (anche in città), a cui seguiranno inevitabili smottamenti, frane, dilagare di corsi d’acqua e fiumi, sono costi passivi nell’economia del Paese che nessuno valuta con la dovuta accortezza, per non dire delle vite umane immolate sull’altare di un’assurda imprevidenza. Con questo triplice fronte del disastro – incendio, siccità, alluvioni – sembra d’esser tornati ad un’era del nostro pianeta in cui gli elementi primordiali hanno preso il sopravvento sulla capacità di controllo dell’uomo.
La Repubblica 28.08.12
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L´amaca MICHELE SERRA
Dalle molte inchieste sugli incendi che devastano il Paese (ottima quella di Corrado Zunino su questo giornale) esce un dato statistico implacabile, e veramente impressionante. Esistono i piromani, non esistono le piromani. Dare fuoco a un bosco, a un campo, a un pezzo di mondo, e calcinarlo così da renderlo sterile per molti anni, è una prerogativa esclusivamente maschile. L
e donne in genere commettono molti meno reati degli uomini, pur essendo la metà abbondante del genere umano. Possono macchiarsi di crimini anche efferati (per esempio uccidere, anche se non serialmente). Ma avere l´impulso di devastare un luogo per sottometterlo, per negarlo, per cancellarne le tracce di vita, è cosa solo dei maschi: la statistica non concede eccezioni. In questo senso il piromane è colui che trasferisce sul volto della Terra lo stesso sfregio che il maschio padrone infligge al volto della femmina che considera infedele o indegna, o più semplicemente non sua. Gea è femmina, accoglie il seme e lo fa germogliare. Piromani, stupratori e sfregiatori di donne andrebbero inclusi nella stessa branca del Male.
La Repubblica 27.08.12