Il ministro Severino, alla ripresa dei lavori del governo, ha fatto il punto sulle riforme possibili in materia di giustizia. Ancora una volta le idee del ministro mi sono sembrate in larga misura condivisibili: priorità assoluta allo smaltimento dei processi civili e alle norme anticorruzione, anche per rispondere positivamente alle sollecitazioni europee. Poi si vedrà. Questa calendarizzazione mi sembra importante. Durata irragionevole dei processi civili e dilagare della corruzione costituiscono due piaghe che, unitamente alle lungaggini della burocrazia, contribuiscono a rendere l’Italia un luogo poco appetibile per le imprese e a danneggiare pertanto la sua economia. Non stupisce pertanto che siano individuate come priorità da un governo che si prefigge, appunto, il risanamento economico del Paese e la sua uscita dalla crisi, costituendo la durata eccessiva delle controversie civili e la corruzione oneri aggiuntivi molto pesanti per chi intende intraprendere un’attività imprenditoriale o commerciale.
I numeri della giustizia civile forniti ieri da «La Stampa» sono drammatici: cinque milioni e mezzo di processi pendenti al 30 giugno 2011, oltre quattro anni la durata media di un processo, 1032 giorni quella di un processo di appello.
Giusto, quindi, che il ministro annunci misure specifiche per contrastare il fenomeno: introduzione (già decisa) di un filtro per l’appello nei processi civili (che in prospettiva dovrebbe consentire di non accumulare eccessivi arretrati), una task force da dedicare alla trattazione dei processi pendenti (secondo una simulazione, ha rilevato il ministro, se si applicassero duecento persone a smaltire le cause in appello che sono in attesa di decisione da oltre tre anni, calcolando quarantamila sentenze l’anno, s’impiegherebbero cinque anni e mezzo per azzerare l’arretrato complessivo). Semmai, se possibile, le misure dovrebbero essere ancora più incisive.
Per altro verso, l’Europa sta aspettando da oltre dieci anni che l’Italia adempia agli obblighi internazionali assunti con la sottoscrizione dei trattati anticorruzione. Una legge perfettibile, ma tutto sommato ampiamente accettabile (anche se non è riuscita a risolvere adeguatamente tutti i problemi: ad esempio, quello della prescrizione dei reati), è stata approvata dalla Camera prima dell’estate e attende ora l’approvazione del Senato. Il Consiglio dei ministri di venerdì scorso ha, giustamente, ribadito che l’approvazione definitiva di tale ddl costituisce una priorità del governo. Ma esso riuscirà davvero a condurlo in porto, date le critiche concentriche, di segno contrapposto, che sono state rivolte sia da una parte consistente del Pdl sia dall’attuale opposizione? L’auspicio è che vi riesca, anche se le difficoltà (e i possibili costi) sono elevati.
Vale la pena di fare il punto della situazione per cercare d’individuare appunto difficoltà e rischi dell’iter prossimo venturo degli interventi legislativi in materia di giustizia. Il Pdl, critico nei confronti di alcuni profili importanti della legge anticorruzione (ha manifestato, ad esempio, contrarietà all’introduzione dei reati di corruzione fra privati e di traffico d’influenze illecite, e all’aumento generalizzato dei massimi delle pene, in quanto a suo dire esso allungherebbe eccessivamente i tempi della prescrizione), prima dell’estate aveva posto come condizione che in Senato si affrontassero insieme i temi della legge anticorruzione, delle intercettazioni e della responsabilità civile dei magistrati. L’obiettivo era evidente: affrontare insieme tutti i nodi sul tappeto avrebbe consentito di trattare con le altre forze politiche di maggioranza e con lo stesso governo possibili scambi, ed eventualmente ottenere soluzioni auspicate sull’uno o sull’altro fronte.
I rischi maggiori concernono la materia delle intercettazioni, sulla quale da anni governi e Parlamenti si stanno cimentando. E’ noto come il Pdl, ma anche frange non marginali del Pd, da anni cerchino di ridurre l’incisività delle indagini penali e d’imbavagliare l’informazione attraverso una drastica limitazione delle intercettazioni e un altrettanto drastico divieto di pubblicare atti delle indagini penali (ben al di là del ragionevole intento di evitare che persone estranee ai processi penali, casualmente intercettate, possano finire nel tritacarne massmediatico). Ebbene, preoccupa non poco che questo tema possa diventare oggetto di scambio con la normativa anticorruzione, magari utilizzando, come clava, lo spauracchio della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, ufficialmente osteggiata dal Pd ma appoggiata dalla Lega.
Ecco perché una rigorosa calendarizzazione dei problemi, che non consenta improprie confusioni fra l’una e l’altra questione, mi sembrerebbe essenziale per una ragionevole ed ordinata loro soluzione (anche per, eventualmente, porre la fiducia sull’uno o sull’altro provvedimento). Il ministro, nell’intervista rilasciata ieri a «La Stampa», dopo avere precisato che costituisce valutazione comune dell’intero governo che la legge anticorruzione rappresenti una assoluta priorità, ha soggiunto che «i problemi tecnici sono, comunque, tutti ragionevolmente risolvibili» e che anche il tema delle intercettazioni «va risolto laicamente» e che in ogni caso «si è molto avanti, grazie anche al contributo del confronto svolto dai responsabili dei partiti della maggioranza».
Continuo a ritenere che sarebbe in ogni caso più tranquillizzante se il governo, rispettando le priorità che a dire del ministro esso stesso si sarebbe dato, procedesse senza tentennamenti lungo la strada indicata, senza rischiare pericolose commistioni fra problemi diversi e senza mescolare le urgenze (legge anticorruzione, accelerazione dei processi civili) con questioni che non sembrano proprio essere altrettanto urgenti per il bene del Paese.
La Stampa 27.08.12