Mario Monti sarà ancora operativo fino a gennaio, poi la campagna elettorale inevitabilmente lo congelerà. Quattro o cinque mesi, ma ricchi di eventi e di decisioni che possono avere effetti notevoli su quanto ne seguirà nella prossima legislatura.
La prima decisione da prendere riguarda il rapporto tra il governo, il mercato e la Banca centrale europea. Finora Monti ha battuto e ribattuto sul tasto che l´Italia ce la farà da sola a rimettersi in piedi, restando fedele al programma di rigore già in atto, procedendo con le riforme soprattutto per quanto riguarda la rapidità dei tempi della giustizia civile, la riqualificazione della spesa, l´evasione e infine il rifinanziamento, per quel che è possibile, dell´economia reale.
Questo orgoglio nazionale è stato un buon “incipit” per avviare il negoziato con la Bce e ottenere il suo intervento sul mercato dei titoli. Parliamoci chiaro: quell´intervento è indispensabile per difendere la moneta unica e garantire l´efficacia della politica monetaria, ma Draghi non darà mai inizio all´operazione da lui battezzata “non convenzionale” senza il via libera del fondo “salva Stati”, cioè della Ue e del governo tedesco.
Si tratta dunque d´un passaggio obbligato. Il disegno di Monti sembra questo: formulare lui le condizioni del “memorandum” e sottoporlo al “salva Stati” per l´approvazione. Monti conosce benissimo quale sia la condizionalità che la Ue e la Bce ci chiedono in aggiunta a quanto già fatto. on si tratta di ulteriori dosi di rigore ma di ulteriori riforme che stabilizzino il quadro finanziario e consentano perfino un inizio di ripresa produttiva (di cui nel “seminario” del Consiglio dei ministri di venerdì).
La partita è assai complicata e i giocatori al tavolo sono a dir poco quattro: Monti, Draghi, la Bundesbank, la cancelliera Merkel. Ciascuno di loro ha una sua strategia e le alleanze nel corso della partita saranno variabili. Se il risultato sarà positivo ci sarà un alleggerimento degli spread di Italia e Spagna, un costo minore dei rispettivi debiti sovrani e soprattutto un vincolo che il governo Monti trasmetterà ai governi che verranno dopo le elezioni; questo vincolo risulterà di altissimo valore per i mercati e di rafforzamento sia di Draghi sia della Merkel nella complessa partita che essi stanno giocando con i falchi della Bundesbank e con le forze politiche che li appoggiano.
Il 6 settembre il Consiglio direttivo della Bce prenderà le sue decisioni. Monti dal canto suo dovrà uscire allo scoperto nei giorni successivi. Entro settembre questo problema dovrà dunque essere definitivamente risolto.
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Ma ce n´è un altro, di problema, ancora più grosso ed è quello dello sfondo politico e istituzionale in cui l´intervento “non convenzionale” della Bce si colloca: l´eventuale passaggio dalla confederazione dei governi europei alla nascita d´una Europa federata. Si chiama, con parole concrete, “cessione di sovranità” dei governi nazionali agli organi federali dell´Unione europea, sia quelli già esistenti che andrebbero comunque riformati, sia organi nuovi da creare se necessario a completamento delle strutture della Ue.
Ne abbiamo già parlato qualche settimana fa. Allora sembrava che la Merkel avesse puntato sulla nascita dell´Unione federale tutte le sue carte. Non era ancora chiara la posizione di Hollande ma si sperava che anche la Francia alla fine riconoscesse la necessità di questa soluzione in un mondo ormai globalizzato.
Ne riparliamo oggi perché nel frattempo si è verificato un fatto nuovo: il tema dell´Europa federale è uscito di scena, la Merkel non ne parla più, la questione della cessione di sovranità si limita ormai al fiscal compact e si attende la sentenza imminente della Corte costituzionale tedesca sui fondi “salva Stati”, si dubita perfino della fattibilità di un´Unione bancaria e d´una vigilanza unica affidata non più alle Banche centrali nazionali ma alla Bce.
Insomma una ritirata vera e propria da un progetto certamente assai complesso da realizzare in un continente diviso da lingue diverse e da secoli di guerre e di diverse etnie e tradizioni, ma assolutamente necessario per non far precipitare l´Europa in una totale irrilevanza politica. Come si spiega questa ritirata? E che cosa si può fare per rimettere in moto quel progetto?
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La Merkel deve aver capito due cose che forse qualche mese fa aveva trascurato o sottovalutato. La prima: il grosso dell´opinione pubblica del suo Paese non vede affatto di buon occhio un´egemonia politica tedesca su un´Europa cui tutti gli Stati nazionali, Germania compresa, abbiano ceduto quote rilevanti di sovranità. I tedeschi preferiscono fare buoni affari e conservare una supremazia industriale e finanziaria sull´Europa, ma rifiutano di esercitare un´egemonia politica. Che implicherebbe notevoli responsabilità e cessioni di indipendenza nazionale.
La seconda questione è la resistenza al progetto federativo da parte di molti altri Paesi a cominciare dalla Francia e dai Paesi del Nord e dell´Est. Soprattutto quelli che sono fuori dall´Eurozona, Gran Bretagna e Polonia in testa.
Perciò, per dirla tutta, quel progetto sembra rientrato salvo alcune cessioni di sovranità che riguardano il bilancio europeo, la politica fiscale, la difesa della moneta comune. La quale tuttavia, se quello sfondo politico verrà a mancare, non avrà mai la forza d´una moneta di riserva.
Il venir meno di questo progetto allarga tuttavia probabili spazi di negoziato e consente iniziative altrimenti impensabili. Per esempio consentirebbe a Paesi interessati ad un´Europa federata di federarsi tra loro. Il “chi ci sta ci sta”, minacciato tempo fa dalla Germania quando si parlava di due velocità monetarie, potrebbe essere ora capovolto parlando di cessioni di sovranità politiche.
Se l´Italia, la Spagna, il Portogallo, l´Irlanda, l´Austria, ma anche soltanto i primi tre, fondassero anzi rilanciassero un Club mediterraneo con proprie regole e istituzioni comuni che mantenesse la sua presenza nell´Unione europea e nell´Eurozona non più come singoli Stati ma come Club, il contraccolpo sarebbe forte se non addirittura fortissimo.
Proseguo nell´esempio. Se i Paesi del Club stabilissero rapporti di consultazione e amicizia economica e politica con altri Paesi mediterranei, Algeria, Marocco, Libia Egitto, Israele, Turchia, rapporti che già esistono ma che cambierebbero titolare: non più i singoli Paesi ma il Club in quanto tale?
Se analoghi accordi fossero stipulati con tutta l´area di lingua latina nel Centro e Sud America, e principalmente con Argentina, Brasile, Uruguay, Messico? Argentina e Brasile hanno già dichiarato di essere molto propensi a studiare e concordare rapporti di questo genere. Un Club mediterraneo non potrebbe prendere un´iniziativa in tale direzione?
Se gli interessi e la fantasia suggeriscono nuovi orizzonti, non è affatto escluso che la stessa Europa federale possa rimettersi in moto. A volte bisogna saper sognare per affrontare le più dure realtà.
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C´è un ultimo aspetto del quale voglio far cenno a proposito di Europa federale. Qualora prima o poi ci si arrivasse sarebbero necessarie alcune importanti modifiche istituzionali e cioè:
1. Il Parlamento europeo dovrebbe essere eletto su basi europee e non nazionali.
2. I referendum su questioni pertinenti l´Europa dovrebbero anch´essi esser votati dal popolo europeo e non dai popoli dei singoli Stati.
3. La struttura internazionale dell´Unione federale dovrebbe avere carattere presidenzialista del tipo degli Stati Uniti d´America: un presidente eletto che nomina il governo federale; un Parlamento che controlla l´operato del governo, la nomina dei funzionari di importanza federale, le leggi che incidono sul bilancio, le spese, le entrate. Una Corte costituzionale a tutela della costituzione federale.
Quando lo Stato ha le dimensioni di un continente e per di più in un mondo ormai globale, la democrazia deve assicurare al tempo stesso rapidità di decisioni, visualizzazione del leader che rappresenta quel continente e partecipazione dei cittadini. Il fondamento di queste strutture poggia sulla divisione dei poteri.
Si tratta, con tutta evidenza, di obiettivi lontani, ma spetta alla pubblica opinione averli presenti, dibatterli preparandone il possibile avvento.
Post scriptum. L´articolo di venerdì scorso del nostro direttore Ezio Mauro sul conflitto di attribuzioni sollevato dal Presidente della Repubblica tratta un tema che è stato ampiamente e liberamente esaminato con ricchezza di argomenti. Aderisco a quanto scritto da Mauro. Del resto lo ha detto lui stesso e lo ringrazio per questo: noi ci siamo scelti reciprocamente diciassette anni fa ed è stata una scelta della vita che quotidianamente si rinnova. Sul tema in questione null´altro c´è da dire salvo le notizie di cronaca e il verdetto di merito della Corte che commenteremo con libertà e rispetto verso quell´istituzione che garantisce la costituzionalità delle leggi e dei comportamenti.
La Repubblica 26.08.12