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"Il listone di Bersani", di Mario Lavia

Con l’intervista di ieri a Repubblica Pier Luigi Bersani ha di fatto aperto la campagna elettorale del suo partito e avviato la personale corsa alla conquista di palazzo Chigi. Il tono dell’intervista non deve stupire. Bersani ha bisogno di marcare il più possibile la distinzione da Mario Monti, rivendicando al suo partito una sperimentata capacità di governo, un messaggio chiaro a quell’Europa che reclama certezze per il dopovoto.
D’ora in avanti conviverà nel leader del Pd una doppia “narrazione”: quella del sostegno leale al governo e la crescente autonomizzazione da questa esperienza. Giocoforza, prevarrà quel tratto della discontinuità che sarà il segno distintivo della campagna elettorale voluto dal gruppo dirigente del Pd. Il leader dem correrà il rischio di apparire contraddittorio ma per lui il gioco vale la candela. Un doppio binario faticoso sotto l’aspetto propagandistico presso il proprio elettorato, una parte del quale potrebbe non capire perché si sostiene un governo che viene criticato (la richiesta di «un cambio di passo») o al contrario perché se ne chiede l’archiviazione («una parentesi non ripetibile») se sta funzionando bene, come sostiene quel pezzo del Pd che reclama la prosecuzione dell’agenda Monti con Monti.
Ma il tempo di queste contraddizioni sarà abbastanza breve. Si tratta di far passare l’idea – come dice Matteo Orfini nel suo libro – che «noi faremmo meglio», o, per usare le parole dello stesso segretario, che «può succedere che Monti non riesce a portare a casa una legge contro la corruzione, e Bersani ci riesce». Il segretario ha in mente una road map scandita principalmente in tre grandi fasi: la Festa di Reggio Emilia che si apre oggi; le primarie; la campagna elettorale vera e propria. Non è vero che fra i suoi desiderata rientrino le elezioni anticipate («elucubrazione dannosa») né è vero che tema le primarie o peggio brighi per farle saltare («tra novembre e dicembre le faremo») per la buona ragione che non solo è sicuro di vincerle (per alcuni: di stra-vincerle) ma perché l’appuntamento costituirà una formidabile occasione di promozione del Pd e della personale candidatura alla guida del governo.
Vincere le primarie, sì: non sono un Vendola divenuto mansueto alleato né un Renzi per lui a corto di programmi a impensierire il numero uno del Nazareno. E si può star certi che la carta del rinnovamento generazionale sarà lui a giocarla, a partire dalle liste. Infine, da adesso in poi, il leader del Pd deve anche sconfiggere l’idea che il risultato elettorale sia del tutto incerto. Di qui le contromisure sul piano concreto. Ecco dunque l’idea di una lista-coalizione per avere la certezza di arrivare primi e aggiudicarsi così quel premio di maggioranza che secondo l’ultima ipotesi di accordo sulla legge elettorale dovrebbe spettare al primo partito: una quota superiore al 10 per cento che dovrebbe garantire al partito vincente la possibilità di formare una maggioranza di governo.
Il Pd punta su questo: a imbarcare nelle proprie liste socialisti di Nencini, Verdi, Api, personalità “esterne” come Lorenzo Dellai e magari qualche transfuga dal Pdl. Senza dire dei tentativi che verranno fatti per arruolare esponenti dell’attuale governo. Dulcis in fundo – ma questo è ancora tutto da studiare, siamo ai lavori in corso – c’è l’ipotesi di saldare nella stessa lista Pd e Sel. Una possibilità che potrebbe proiettare il “listone” dalle parti del 40 per cento. Un asso nella manica. La cosa non è facile. Soprattutto per Vendola, ed infatti per ora viene fermamente esclusa dai suoi. A corollario vi sarebbe l’impegno a riformare i regolamenti parlamentari per impedire che all’indomani del voto si possano formare gruppi delle varie “componenti”.
In ogni caso, l’idea di liste aperte ad altre forze politiche, senza mettere in discussione il simbolo del Pd sulla scheda, può esprimere il senso del “voto utile” (proprio perché finalizzato ad aggiudicarsi il premio) e comporta un fattore dinamico di non poco conto, quel quid in grado di scongiurare lo scenario prospettato dall’Istituto Cattaneo, secondo il quale dalle urne non uscirebbe nessun vincitore.

da Europa Quotidiano 26.08.12