Ad aprile è stato inserito nella Costituzione italiana il pareggio di bilancio, ovviamente riferito al denaro. Ma c’è un bilancio estremamente più importante per la nostra vita. Vita che prima di essere soggetta ai capricci dell’economia è ferreamente dominata da flussi di energia e materia: è quello delle valute «fisiche» disponibili sul pianeta Terra. Un dato che, per quanto denso di conseguenze per il futuro dell’Umanità, nessuno considera strategico, né lo si inserisce nelle Costituzioni, salvo forse che in quella dell’Ecuador.
In sostanza, non si possono prelevare dal conto terrestre più risorse di quante i sistemi naturali siano in grado di rigenerare né immettere rifiuti e inquinanti più di quanto la biosfera sia in grado di metabolizzare. L’Overshoot Day di quest’anno, annunciato ieri, definisce la data nella quale il nostro conto corrente con l’ambiente è andato in rosso. Abbiamo speso tutti gli interessi in questi primi 234 giorni dell’anno, e da oggi al 31 dicembre dilapideremo una parte del capitale, con conseguenze talora irreversibili, come il riscaldamento globale o l’estinzione di specie viventi.
Il pareggio di bilancio mondiale è stato rispettato più o meno fino alla metà degli Anni 70, quando l’umanità contava 3,5 miliardi di individui. Oggi siamo 7 miliardi, consumiamo e inquiniamo come non mai e preleviamo l’equivalente di una terra e mezza. La biosfera è un sistema resiliente, e per brevi periodi può sopportare uno stress senza collassare, a patto che si rientri nei limiti imposti dalle leggi universali che governano i cicli biogeochimici, il clima, la riproduzione della fauna ittica, la rigenerazione delle foreste. Ma, come accade a un motore lanciato a folle corsa, quando la lancetta del contagiri entra in zona rossa, per non sbiellare bisogna ridurre la velocità.
Stranamente l’economia mondiale appare preoccupatissima del rallentamento dei giri del motore e invoca un’ulteriore accelerazione che secondo i modelli ecologici porterebbe attorno al 2050 alla necessità dell’equivalente di due pianeti, dei quali evidentemente non disponiamo. Ovvero il motore salta e la macchina si ferma di botto con gravi conseguenze per la società e per l’ecosistema. La «spending review» tanto oggi di moda dovrebbe dunque includere anche le risorse fondamentali da cui dipendiamo, suolo, acqua, energia, biomassa, carico inquinante.
Una riduzione dei giri governata con saggezza per riportarci nei limiti concessi dall’unico pianeta che abbiamo è l’unico atteggiamento razionale a cui ricorrere, e sarebbe assurdo non considerarlo proprio ora che la ricerca scientifica ci mette a disposizione tanti dati affidabili su cui costruire gli scenari futuri, scegliendo quelli più favorevoli ed evitando le trappole del sovrasfruttamento. La sfida è enorme, l’uomo deve completamente mutare il proprio paradigma, da un cieco inseguimento della crescita fine a se stessa a un’economia basata su uno stato stazionario, energie rinnovabili e rifiuti riciclabili. È un obiettivo per nulla facile da perseguire, né esistono ricette preconfezionate, tuttavia ciò che la comunità scientifica invoca invano da anni è una disponibilità all’ascolto del mondo economico e politico, alla ricerca di soluzioni nuove e condivise che tengano conto dell’enorme posta in gioco, ovvero la sopravvivenza della specie per un periodo dello stesso ordine di grandezza del nostro cammino evolutivo precedente, diciamo 200 mila anni. Sotto le isteriche oscillazioni dello spread, c’è un debito con la natura che non si potrà contrattare in nessun Parlamento.
La Stampa 23.08.12