Sugli aumenti improvvisi del prezzo dei carburanti, spesso nei periodi d’esodo, cade il sospetto di speculazioni dal quale i petrolieri si difendono prontamente richiamandosi alle leggi della domanda e dell’offerta e alle quotazioni internazionali. Va detto che, da fine luglio a oggi, la crescita dei prezzi è certamente dipesa da fattori esterni al mercato italiano: i carburanti non potevano che diventare più cari, considerato il deprezzamento dell’euro e l’incremento delle quotazioni del greggio pagato in dollari. Tuttavia il problema principale non sorge oggi, con le nuove condizioni che hanno portato la benzina a superare la barriera dei 2 euro al litro. Occorre mettere a fuoco quello che è successo negli ultimi due anni.
Ricercando i fattori principali che hanno portato i prezzi alla pompa a un livello ben superiore di quello del luglio 2008 (più o meno 1,4 euro al litro) quando il petrolio mise a segno il record storico di 145 dollari al barile (molto distante dai circa 115 dollari della quotazione attuale). Oltre alla debolezza dell’euro, ci sono altre tre componenti che hanno inciso sulla formazione dei prezzi al consumo: 1) il prelievo fiscale che si è fatto molto più pesante a causa della nuova aliquota Iva del 21% e soprattutto dei continui incrementi delle accise (per la benzina 16,44 centesimi al litro divisi più o meno equamente tra le decisioni del governo Monti e le manovre di Tremonti); 2) l’incremento medio del margine lordo determinato quotidianamente dalle compagnie petrolifere che operano in Italia e che comprende anche la loro quota di profitto. Tale valore negli anni passati era stato mediamente tra i 12 e i 15 centesimi al litro mentre, secondo una ricerca di Nomisma energia dello scorso maggio, quest’anno ha toccato picchi di 23 centesimi per la benzina e di 18 centesimi per il gasolio; 3) il progressivo aumento delle quotazioni internazionali del prodotto finito. I valori Platt’s sono calcolati e diffusi da un’Agenzia (per la verità, da una società partecipata sembrerebbe da agenzie di rating e da operatori in potenziale conflitto di interesse) soltanto a coloro che si abbonano a pagamento al bollettino. Si tratta di un meccanismo di determinazione della quotazione sulla base dei valori di compravendita all’ingrosso nei vari mercati di riferimento e la cui fonte non può che essere quella dei soggetti economici che vi operano.
Insomma, qualcosa di analogo all’Euribor. Sembra incomprensibile ai più il fatto che in questi due anni di recessione, con i consumi dei prodotti petroliferi calati del 10-15 %, le quotazioni Platt’s di benzina e gasolio nel mercato del Mediterraneo, sono costantemente aumentate e in modo rilevante. Sarebbe opportuno che l’Antitrust europeo, magari su sollecitazione del governo, accendesse un faro su questa vicenda.
Per fortuna che gli sconti del fine settimana hanno dato sollievo agli automobilisti: i consumatori hanno gradito e molti fanno ormai il pieno soltanto tra sabato e domenica. Questa abitudine sta spostando quote di mercato tra le compagnie e si spera possa finalmente far scattare un circolo virtuoso di competizione. D’altronde poiché i produttori non fanno beneficenza, le politiche aggressive di prezzo non fanno che confermare che lo spazio per abbassare il prezzo di vendita dei carburanti c’era e c’è non solo per il week-end (e speriamo possa essere rivista la recente presa di posizione di Paolo Scaroni sulla conclusione il 3 settembre della campagna Eni: perché senza gli sconti del week-end sarebbe davvero un altro salasso e si alimenterebbero nuove tensioni inflattive).
Un cittadino, con una lettera a un quotidiano, si domandava come mai il distributore davanti casa rimasto aperto in modalità self 24h, mentre il gestore era in ferie, cambiasse ogni giorno il prezzo di vendita indicato dai display delle varie colonnine senza aver fatto mai un nuovo approvvigionamento e quindi non tenendo conto del costo di acquisto dei carburanti presenti in cisterna. La risposta è che nell’80% dei distributori (quelli che dipendono sostanzialmente dalle decisioni delle imprese petrolifere che nella maggior parte dei casi sono anche proprietarie degli impianti), il prezzo finale prescinde dal costo di acquisto della fornitura all’ingrosso del carburante. Come avviene per i gioiellieri, che per le collane e i braccialetti che hanno in cassaforte fissano giornalmente il prezzo di vendita al pubblico in base alla quotazione internazionale dell’oro, e non in base a quanto lo hanno effettivamente pagato dai loro rifornitori, per benzina e diesel le compagnie petrolifere apprendono dal Platt’s qual è la quotazione giornaliera del prodotto finito e decidono quanto deve essere il margine lordo da aggiungere a tale valore. Così si forma il prezzo di vendita alla pompa da comunicare ai gestori delle stazioni di servizio. Insomma una prassi che metterebbe in sordina una delle principali doti dell’essere imprenditore: quella di cercare di spuntare i prezzi migliori nella fornitura dei beni per poi essere più competitivo a valle nella vendita al cliente finale e assicurarsi così un adeguato guadagno. Il ministero dello Sviluppo economico, essendo abbonato ai dati del Platt’s, conosce il margine lordo applicato dai petrolieri e quindi ha gli elementi per fare un monitoraggio efficace e per esercitare la necessaria moral suasion a tutela dell’interesse generale.
Ma forse in queste condizioni, oltre a dar corso velocemente alle scarse misure di liberalizzazione del decreto Crescitalia, bisognerebbe chiedere al ministro Passera anche di fare qualcosa in più per migliorare la trasparenza del processo di formazione dei prezzi al fine di far crescere il grado di consapevolezza degli automobilisti, e quindi stimolare meccanismi virtuosi di competizione tra gli operatori: pubblicare ogni giorno sul sito dell’Osservatorio prezzi ministeriale l’ammontare della quota di margine destinata ai petrolieri e la sua incidenza sul prezzo di vendita al pubblico dei vari carburanti.
l’Unità 23.08.12