Il processo stagionale di fusione dei ghiacci in Groenlandia ha superato ogni altro record lo scorso 8 agosto, ben quattro settimane prima che l’estate si chiuda. L’annuncio è stato dato da un italiano, Marco Tedesco, professore di scienza della Terra e dell’atmosfera presso il City College di New York.
Utilizzando dati da satellite, il ricercatore ha calcolato il cosiddetto cumulative melting index, una sorta di media dei giorni in cui l’acqua resta alla stato fuso. Il calcolo non è semplice, perché deve tener conto della durata della fusione in svariate zone dell’isola che ospita la più grande quantità di acqua dolce ghiacciata del pianeta dopo l’Antartide.
Ogni estate quest’acqua, almeno in superficie, fonde. Ma non dappertutto e non dappertutto nella medesima quantità e non dappertutto per il medesimo tempo. Nel mese di luglio, per esempio, la Nasa aveva annunciato che la fusione aveva interessato il 97% della superficie ghiacciata dell’enorme isola. Ma quello misurato dalla Nasa era un fenomeno di picco, del tutto passeggero. Quasi immediatamente il ghiaccio si è riformato e il fenomeno non ha avuto grandi conseguenze. Il processo di fusione misurato da Marco Tedesco è invece una media che si estende per diverse settimane: la stagione estiva in Groenlandia, nel corso della quale si verifica la fusione parziale dei ghiacci più superficiali, dura da giugno ad agosto. È in questa stagione che si formano laghi e fiumiciattoli. Quest’anno il cumulative melt index ha superato ogni record precedente già l’8 agosto. Possiamo dire, almeno in prima approssimazione, che mai tanto ghiaccio si era fuso nel corso dell’estate della Groenlandia. Vero è che la gran parte di questa acqua liquida con l’arrivo della stagione più fredda torna rapidamente a solidificarsi. Tuttavia, proprio perché il processo dura nel tempo ha due effetti di lungo periodo: porta direttamente più acqua nel mare e, in qualche modo, rendo più scivolosa la superficie di contatto tra il ghiaccio e la terraferma, facilitando la formazione di valanghe e di iceberg. Cosa ci dice il dato reso noto da Marco Tedesco e dai suoi collaboratori del City College di New York? Beh, in primo luogo conferma che questa è stata un’estate particolarmente calda, anche alle alte latitudini. Inoltre conferma che c’è una marcata tendenza all’aumento della temperatura media in quelle zone. Non c’è solo il fatto che il cumulative melt index del 2012 (già a inizio agosto) ha battuto il record del 2010. Ma c’è anche il fatto che nell’arco degli ultimi venti o trent’anni la fusione estiva dei ghiacci ha una netta tendenza all’aumento. Tutti i modelli di previsione dei cambiamenti del clima prevedono un simile fenomeno. Il problema è verificare quanto intenso esso sia. E negli ultimi anni sembra particolarmente intenso.
La particolare intensità contribuisce a modificare la struttura dei ghiacci in Groenlandia. Nulla di male – non a scala globale, almeno – se d’inverno nevicasse abbastanza sulla Groenlandia da riportare sulla sua superficie sotto forma di neve, che poi diventa ghiaccio, l’acqua perduta d’estate. In questo caso avremmo un ciclo più accelerato, ma con un bilancio nullo sul livello dei mari. L’inverno porterebbe via dagli oceani sotto forma di neve scaricata sulla Groenlandia tanta acqua quanto d’estate l’isola vi ha immesso. E né il livello dei mari né la quantità di ghiaccio in Groenlandia muterebbero.
Invece sembra che il bilancio non sia affatto zero. Che in questi ultimi decenni la Groenlandia ceda ai mari sotto forma di acqua liquida più di quanto riceve come neve. Col risultato di contribuire ad aumentare il livello medio dei mari. Si calcola che se i ghiacci della Groenlandia si sciogliessero per intero (e non solo per l’intera superficie, come avvenuto a luglio) e l’acqua finisse tutta nell’oceano, il livello dei mari a scala planetaria aumenterebbe di circa 7 metri, con conseguenze disastrose per quasi tutte le coste del mondo.
In questi ultimi anni sembra che il ritmo di scioglimento netto dei ghiacci dell’isola sia più elevato di quanto previsto nei modelli degli studiosi del clima. Ma niente paura. Anche a questi ritmi, occorrerebbero secoli prima che tutti i ghiacci di Groenlandia si fondano e l’isola diventi completamente verde come vuole il suo nome.
Tuttavia il segnale registrato dal gruppo di Marco Tedesco è un ennesimo campanello d’allarme. Il clima del pianeta sta cambiando. Con effetti quasi mai desiderabili. E poiché l’umanità ha sia molte responsabilità in questo cambiamento sia molte opportunità d’intervento, occorre che i governi si sveglino. Non è giusto – non è saggio – che il conto della nostra pigrizia lo paghino i nostri figli o i nostri nipoti. In ogni caso nessuno potrà dire di non essere stato avvertito. Di campanelli d’allarme come quello suonato dal ricercatore italiano se ne sentono da tempo a decine. Scherzando, ma non troppo, si potrebbe dire che il “cumulative ring index”, l’indice cumulativo dei campanelli, produce un suono che ormai è diventato assordante.
L’Unità 22.08.12