C’è una doppia partita che si sta giocando sul futuro dell’euro in vista di un settembre che si preannuncia caldissimo. La prima riguarda la Grecia e la possibilità che Atene resti nella moneta unica. La seconda, molto più importante, riguarda il ruolo e il margine di azione della Bce, dopo che Draghi ha annunciato che la Banca centrale interverrà «con tutti i mezzi» a difesa della moneta unica e per contenere la speculazione sugli spread. Attorno a queste due questioni si stanno mobilitando le cancellerie europee con un calendario di colloqui e di incontri molto intenso. Giovedì ci sarà un vertice Merkel-Hollande. Venerdì un incontro della Cancelliera con il premier greco. Poi a fine mese la visita di Monti a Berlino. I ministeri dell’economia dei diciassette membri della zona euro sono in contatto quotidiano, e così pure i ministeri degli esteri. Peccato però che, nonostante la grande fibrillazione nelle capitali europee, le due partite si giochino di fatto tutte in territorio tedesco. E che i falchi d’Oltralpe schierati nell’ultima battaglia contro l’euro stiano usando la questione greca per mettere in difficoltà la Merkel e impedirle di mantenere la strada spianata sul cammino di Draghi e della Bce.
Ormai, dopo oltre due anni di crisi, il percorso per salvare la moneta unica, così come è stato tracciato da Mario Draghi, è abbastanza chiaro. La Banca centrale europea si tiene pronta a intervenire per contenere gli spread a tre condizioni. La prima è che i Paesi sotto attacco mantengano tutti gli impegni di risanamento sottoscritti. La seconda è che chiedano l’intervento del Fondo salva Stati sottoponendosi così alla sorveglianza europea. La terza è che i diciassette membri dell’eurozona si impegnino ad un percorso di progressiva integrazione. Le tappe di questo percorso saranno definite tra ottobre e dicembre, ma comunque prevedono, nell’ordine, una Unione bancaria, una Unione di bilancio e, a più lunga scadenza, una Unione politica. In parallelo con questo processo l’Europa procederà ad una progressiva federalizzazione del debito pubblico accumulato dai governi nazionali.
Il problema è che in Germania ci sono forze rilevanti, nel sistema finanziario e in quello politico, che si oppongono a questo disegno. Non vogliono che la Bce acquisti titoli di stato dei Paesi più deboli. Non vogliono una Unione bancaria che metta in comune la copertura dei rischi dei vari sistemi di credito nazionali e che affidi la supervisione delle banche nazionali alla Banca centrale. E soprattutto non vogliono sentir parlare di federalizzazione del debito e di euro-bond. Ieri il bollettino mensile della Bundesbank, la banca di stato tedesca, è stato esemplare: l’acquisto di bond da parte della Bce «aumenterebbe i rischi sistemici», e anche una Unione bancaria che metta in comune la copertura dei rischi del sistema finanziario europeo è considerata un anatema inaccettabile.
In teoria, queste posizioni sono minoritarie, non solo in Europa ma anche in Germania. Ai primi di agosto la Bundesbank si è trovata completamente isolata nell’opporsi al programma di Draghi in seno al Consiglio della Bce. E la stessa Cancelliera difende il programma del presidente della Banca centrale europea dalle critiche della Banca centrale tedesca. In Germania il mondo politico e l’opinione pubblica sono divisi tra chi vorrebbe tutelare l’ortodossia monetaria e i vantaggi che essa garantisce alle finanze tedesche, e chi, come gli industriali, si rende conto che un tracollo dell’euro costerebbe troppo caro anche all’economia di Berlino. In questo quadro la Merkel, ad un anno dalle elezioni politiche, sta cercando una difficile mediazione, che non la isoli troppo in Europa, che consenta di salvare l’euro ma che al contempo offra sufficienti garanzie di buon governo dei conti pubblici a livello europeo.
Per cercare di fermare la Cancelliera, i falchi non hanno trovato di meglio che gettarle tra i piedi la mina greca. E si tratta di una mina potente, perché la Grecia, con i suoi ripetuti fallimenti nel mantenere gli impegni presi, è diventata la vera bestia nera dei tedeschi. Perfino le sinistre, in Germania, si sono dette contrarie a nuove concessioni ad Atene. Ora la Grecia, se vuole evitare la bancarotta e restare nella moneta unica, ha bisogno di una proroga di almeno due anni rispetto al programma di risanamento che le era stato imposto, e quindi di un allungamento dei prestiti che le sono stati concessi. Ma in Germania nessuno è più disposto a sborsare un solo euro per salvare Atene.
Si tratta di un problema la cui dimensione finanziaria è tutto sommato irrisoria, ma le cui implicazioni emotive, e dunque politiche, sono enormi. E di fronte al quale la Merkel si trova con le spalle al muro. Se accettasse di aiutare ancora una volta Atene, perderebbe tutto il consenso di cui gode, e metterebbe a rischio la propria rielezione. Ma se sacrificasse la Grecia sull’altare della propria opinione pubblica interna, sottoporrebbe l’euro a un nuovo durissimo colpo, che potrebbe mettere in pericolo il programma di salvataggio disegnato da Draghi.
Almeno per ora, la soluzione a questo dilemma non è in vista. Ma la giostra frenetica di incontri politici che la Cancelliera ha in programma nei prossimi giorni non servirà tanto a districare la questione greca o la battaglia sulla Bce, ma piuttosto a delimitare il perimetro della resa dei conti interna che si sta profilando in Germania. E che appare ormai inevitabile.
La Repubblica 21.08.12