La Cancelliera tedesca Angela Merkel ha fatto di tutto per porsi agli occhi dell’opinione pubblica europea come una figura negativa, una testarda, teutonica maestrina dalla penna bruna. Ma non merita le caricature con baffetti hitleriani con cui l’hanno dipinta i contestatori greci. Per certi aspetti è ancora “la ragazza”, nomignolo attribuitole da Helmult Kohl quando era una sua protetta. La sua aria un po’ spaurita non evoca Sturm und Drang o tragedie nibelungiche. Ha più l’aspetto di una Heidi ben pasciuta che di una Brunilde furiosa. E poi il suo interesse primario riguarda la politica interna, con un occhio attentissimo al proprio partito. Dopo aver fatto fuori senza tanti complimenti il suo mentore Kohl, inguaiato da un affaire di finanziamenti occulti, in questi anni ha emarginato tutti i potenziali concorrenti all’interno della Cdu. Inoltre, e soprattutto, la Merkel non è un leader “carismatico”, capace di trascinare le folle verso un “sonderweg”, un destino speciale. In questi tempi di crisi, pur propizi per l’affermarsi di un tale tipo di leadership, la Cancelliera non indica soluzioni originali né si pone alla guida di alcun progetto di portata generale. Anche all’interno non ha fatto altro che raccogliere e gestire le riforme fatte dal governo rosso-verde di Gerhard Schroeder.
Perché averne paura allora? Perché dipingerla come «il nemico »? Rovesciamo la prospettiva e azzardiamo una ipotesi diversa: oggi la Germania può rappresentare quel “vincolo esterno”, un tempo fornito dall’Ue, per consentirci di superare limiti e vizi nazionali. E la Merkel un alleato prezioso.
Uno stimolo per superare la nostra situazione di crisi viene dallo “stile della politica” tedesca. Non parliamo di buone maniere che pur contano e gli insulti quotidiani tra i nostri leader politici in terra germanica non sono nemmeno immaginabili. Lo stile politico tedesco che dovremmo “importare” è quello che consente il superamento delle divisioni con un approccio pragmatico e orientato all’accordo. La Germania è stata definita dal politologo Manfred Schmidt il Paese della grande coalizione. Questa etichetta non deriva dai due momenti di grosse koalition tra Cdu/Csu e Spd sperimentati fin qui (1966-69 e 2005-2009), bensì dalla modalità con la quale si gestiscono i contrasti. Sia a livello sociale che a livello politico ogni conflitto che blocca il processo decisionale viene demandato ad una camera di compensazione. Così come sono presenti le rappresentanze dei sindacati nei comitati di gestione delle grandi fabbriche (una eresia per gli industriali italiani), altrettanto viene attivato un comitato di conciliazione quando le leggi si incagliano nel passaggio tra la Camera bassa (Bundestag) e la Camera alta (Bundesrat). Questo avviene spesso perché la camera alta, che rappresenta i vari Lander, ha spesso maggioranze diverse e variabili nel tempo (le elezioni dei Lander sono sfalsate tra loro e rispetto a quelle nazionali). E allora quando una legge votata dal Bundestag incontra una netta opposizione nel Bundesrat entra in azione un comitato paritario che cerca un compromesso.
E quasi sempre lo trova nei tempi previsti.
In sostanza, lo “spirito” della grande coalizione aleggia in Germania anche in assenza di un governo tra i due grandi partiti.
Al confronto è chiaro che la nostra esperienza dell’Abc ha le gambe corte: perché non nasce da una concezione della politica orientata all’accordo, alla risoluzionen trasparente dei conflitti. Troppo profonde le divisioni che hanno lacerato gli schieramenti in questi vent’anni per passare da un momento all’altro ad un “vero” governo di grande coalizione. Mancano i presupposti politico- culturali. Manca una idea condivisa della politica, ancor più che sulle politiche. Invece di riproporre governi di
grosse koalition senza fondamenta meglio ricercare o fondare quella cultura politica che li rese possibili in Germania, e cioè l’atteggiamento pragmatico e orientato al compromesso, il riconoscimento e la fiducia reciproca tra gli schieramenti. La Germania ci serve oggi come riferimento virtuoso non tanto sul piano economico quanto su quello istituzionale e della cultura politica. Ed anche su un piano etico perché, come ricordava ieri il Presidente del Consiglio Mario Monti, comportamenti illeciti come l’evasione fiscale abbassano il nostro rating nella considerazione delle classi dirigenti internazionali. Mentre chi coniuga laboriosità e impegno con rigore e legalità viene premiato. Visioni che accomunano il nostro Presidente del Consiglio con la Cancelliera tedesca.
La Repubblica 19.08.12