Una ricerca ha analizzato i decessi nelle zone dei poli industriali: sono migliaia più della media
Migliaia di morti, causati dall’inquinamento industriale diretto o indiretto, tra il 1995 e il 2002. Parliamo di tumori polmonari e malattie respiratorie a Gela e Porto Torres. Tumori della Pleura a Casal Monferrato e nelle zone dove si lavorava l’amianto. Insufficienze renali dovute all’esposizione a metalli pesanti, a Massa Carrara, Piombino, Orbetello, nel basso bacino del fiume Chienti e nel Sulcis-Iglesiente-Guspinese, in Sardegna. Malattie neurologiche a Trento nord, causate da piombo, mercurio e solventi organo-alogenati. Linfomi dovuti all’esposizione a Pcb (policlorobifenili) a Brescia, nell’area Caffaro. Malformazioni congenite a Massa Carrara, Falconara, Milazzo e Porto Torres. E naturalmente, Taranto: tumori al polmone, malattie respiratorie acute, dell’apparato digerente, ischemie.
A seconda delle tecniche statistiche adoperate, si può parlare di una forchetta tra i 3508 e i 9969 decessi «aggiuntivi», plausibilmente correlati proprio all’inquinamento diretto (emissioni industriali) o indiretto (discariche, aree durevolmente contaminate, depositi di materiale nocivo). Un bollettino di guerra. Che arriva da fonti autorevoli e ufficialissime: il rapporto «SENTIERI» (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità sotto l’egida del ministero della Salute.
Lo studio epidemiologico, diffuso nel novembre del 2011, è frutto di una ricerca durata quattro anni. L’idea è calcolare con sofisticate tecniche statistiche i casi di «mortalità in eccesso» nell’arco considerato, ovvero i decessi aggiuntivi a quelli che si sarebbe verificata in assenza di inquinamento. I territori esaminati, 44 (quelli più importanti) dei 57 «siti di interesse nazionale».
È questo il termine eufemistico con cui vengono definite le aree ad alto rischio ambientale, quelle dove sono concentrate le industrie più inquinanti del Paese, 298 comuni in cui vivono quasi 6 milioni di persone, il 2% del territorio nazionale. Aree in cui l’inquinamento di aria, suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee è talmente grave da costituire un pericolo per la salute pubblica. Zone industriali, dismesse e non, porti, lagune, cave, discariche abusive e miniere, che sulla base della legge dovrebbero essere bonificate con un contributo pubblico. E soldi, anche, di chi ha inquinato. Si tratta di 21 siti al Nord (di cui cinque in Piemonte, tra cui Casale Monferrato e Cengio), 8 al Centro, 15 al Sud. Per ogni sito sono stati stimati gli effetti separati e «congiunti» dei vari agenti inquinanti sulla popolazione. Complessivamente in queste 44 aree sono stati individuati, nel periodo 1995-2002, 3508 decessi dovuti con evidenza a priori all’esposizione ad agenti ambientali nocivi. Considerando le morti anche senza evidenza a priori, si arriva a 9969 morti. Correttamente, i ricercatori spiegano anche che in molti casi (aree urbane, presenza di diverse tipologie industrie) i dati vanno interpretati con qualche cautela.
È un’istantanea impietosa di una guerra silenziosa condotta contro gli italiani da chi produce inquinando, o chi lo ha fatto in passato creando vaste aree pericolose. Una fotografia che però raffigura solo la punta di un iceberg ben più vasto: a parte i circa 1250 decessi l’anno ragionevolmente collegati all’inquinamento industriale diretto e indiretto, bisogna considerare anche le persone che sono colpite da queste patologie in forma non letale. E quelle che, purtroppo, moriranno tra diversi anni.
La mappa è impressionante. Nei poli petrolchimici si contano 643 morti in eccesso per tumore polmonare, 135 per malattie non tumorali dell’apparato respiratorio. Nelle aree con impianti chimici, 184 casi di morte per tumore del fegato. L’amianto, con il letale mesotelioma pleurico, il killer della Eternit, nei dodici siti contaminati (il Nordovest e il Piemonte sono ovviamente particolarmente colpito, con Balangero, Casale Monferrato, Broni, Emarese in Val d’Aosta) ha prodotto 416 decessi aggiuntivi. Gli incrementi della mortalità per tumore polmonare e malattie respiratorie a Gela e Porto Torres si legano alle emissioni di raffinerie e poli petrolchimici. A Taranto e nel Sulcis-Iglesiente-Guspinese pesano le emissioni degli stabilimenti siderurgici e metallurgici. Le morti in età neo e perinatale per malformazioni congenite e condizioni morbose si legano all’inquinamento registrato a Massa Carrara, Falconara, Milazzo e Porto Torres.
Insufficienze renali causate da metalli pesanti, IPA e composti alogenati si registrano a Massa Carrara, Piombino, Orbetello, nel Basso Bacino del fiume Chienti e nel Sulcis-Iglesiente-Guspinese. Incrementi di malattie neurologiche per i quali i sospettati sono piombo, mercurio e solventi organoalogenati si osservano a Trento Nord, Grado e Marano e nel Basso Chienti., nelle Marche.
Nella lista c’è tutto il (cosiddetto) Belpaese. C’è il Sud con le discariche di rifiuti pericolosi – del tutto incontrollate, e spesso gestite dalla camorra o altre mafie – della campagna vicino Aversa, in Campania, o sulla costa domizio-flegrea a nord di Napoli. Ma c’è anche quella di Pitelli, in provincia di La Spezia, la discarica di rifiuti industriali più grande d’Italia sequestrata nel 1996. C’è la valle del Sacco nel Lazio del Sud, con Colleferro, per anni centro di fabbriche di armi ed esplosivi. Ci sono i petrolchimici di Gela e Porto Marghera, a Venezia. E c’è Taranto.
da www.lastampa.it
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