Come un fiume carsico, riemerge sistematicamente la tentazione di ricorrere a misure straordinarie per abbattere il debito pubblico. Partiamo da qualche numero. Il debito pubblico è pari al 125% del Prodotto interno lordo e il suo finanziamento costa tra i 5 e i 6 punti di Pil. Questa situazione ovviamente non appare sostenibile: il debito dovrà essere ripagato dalle generazioni future.
Già oggi, per finanziarlo, lo Stato italiano drena ingenti risorse dall’economia. La non comprimibilità di larga parte della spesa pubblica fa sì che lo Stato in queste condizioni non sia in grado di svolgere un ruolo adeguato nel welfare, negli investimenti e nella politica industriale.
Nelle ultime settimane sono fiorite tutta una serie di proposte per abbattere il debito. Quelle avanzate da personalità di grande rilievo appaiono per lo più boutade estive, frutto della pochezza del dibattito politico o dell’acume di qualche commentatore con la verità ‘‘facile’’ in tasca. Un’ancora importante per orientarci è rappresentata dal fatto che le privatizzazioni e tutte le manovre straordinarie dal 1994 a oggi hanno fruttato meno di 250 miliardi di euro. Considerando il fatto che si è partiti dismettendo le cose più facili, appare alquanto improbabile riuscire a privatizzare attività per 400 miliardi come vorrebbero Alfano e Brunetta.
Spararla grossa può far colpo sull’opinione pubblica ma è anche un sintomo di poca serietà. Il secondo elemento che lascia perplessi è il meccanismo messo in campo. Spesso la valutazione degli asset non tiene conto della capacità del mercato di assorbire le operazioni (in momenti di crisi non è facile privatizzare). Per sopperire al problema si disegnano veicoli e incentivi che dovrebbero garantire il successo dell’operazione e si finisce spesso per fare appello allo spirito patriottico dei risparmiatori e delle istituzioni finanziarie che in modo più o meno volontario dovrebbero aderire al progetto.
La proposta più articolata e ricca di spunti è quella di Astrid (detta Amato-Bassanini) che prevede operazioni per 174 miliardi in cinque anni. Seppur gonfiata nell’importo, la proposta ha il merito di partire da una valutazione degli asset realistica e di non trascurare il rischio esecuzione del progetto. Le linee di intervento sono cinque: dismissioni di immobili (72 miliardi), dismissioni di aziende pubbliche (40 miliardi), valorizzazione delle concessioni (30 miliardi), tassazione dei capitali in Svizzera (17 miliardi), gestione del debito (15 miliardi).
Le cifre sono ottimistiche ma alcune linee di intervento appaiono condivisibili e praticabili. Visto l’ingente – e mal utilizzato – patrimonio pubblico immobiliare, puntare sulla sua dismissione appare corretto, gli ostacoli vengono dal fatto che il grosso degli immobili è in possesso degli enti locali e che la loro valorizzazione necessita di un non facile coordinamento con le politiche urbanistiche. Occorre creare i giusti incentivi per gli enti locali. Condivisibile appare anche l’idea di passare tramite fondi immobiliari che alla prova dei fatti si sono dimostrati essere lo strumento più efficace. Interessante appare anche l’idea di cartolarizzare i proventi delle concessioni anche se deve essere chiaro che si anticipano entrate (certe) future. Mentre l’idea di passare tramite vincoli e incentivi sulla gestione del debito per ridurne il costo appare pericoloso e dalla dubbia efficacia, sicuramente praticabile è la proposta di un accordo con la Svizzera simile a quello stipulato da Germania e Inghilterra sui capitali non scudati. Un’ultima considerazione sulla dismissione delle imprese pubbliche: sarà difficile raggiungere 40 miliardi senza cedere Eni e Enel, ciò non toglie si possa dismettere qualche azienda (un pezzo di Poste ad esempio). Anche la privatizzazione delle ex municipalizzate appare complicata senza prima mettere mano a una loro aggregazione. Cassa depositi e prestiti, previa una più precisa definizione della sua missione e della struttura proprietaria, può giocare un ruolo importante. Nessuno ha la ricetta magica ma un piano per dismettere asset per 15 miliardi all’anno nei prossimi 10 anni, come auspicato dal ministro Grilli, è fattibile e il progetto Astrid (diluito nel tempo) rappresenta una buona base di partenza. Visto che un progetto del genere non giungerà a maturazione prima delle elezioni, sarebbe bene che gli aspiranti leader si esercitassero sulla materia sin d’ora evitando le boutade estive.
da L’Unità