Le tunisine e i tunisini non ci stanno a vedersi sequestrare dagli islamici la prima rivolta araba, nata come moto popolare senza influenze esterne. Tutto è cominciato qui, e qui deve andare avanti. All’avanguardia della protesta c’è ancora Sidi Bouzid, la città dell’interno dove nel dicembre del 2010 Mohamed Bouazizi si è dato fuoco avviando la rivoluzione e dove ieri è partito lo sciopero generale. In migliaia sono scesi in piazza, i commercianti hanno tirato giù le saracinesche, per le strade rimbombavano gli slogan contro Ennhada, il partito di ispirazione musulmana al potere, che si è limitato a definire lo sciopero generale «ingiustificato». Uffici statali e negozi erano sbarrati, tranne poche botteghe destinate a permettere ai fedeli islamici di mangiare dopo il tramonto del sole, alla fine del digiuno quotidiano imposto dal Ramadan.
Centinaia di persone hanno risposto alla chiamata dei partiti di opposizione, dei sindacati, della società civile, e hanno sfilato davanti al Palazzo di giustizia, per reclamare la liberazione dei manifestanti arrestati nei giorni scorsi, quando la polizia aveva represso le proteste a suon di lacrimogeni e pallottole di gomma.
Gli slogan erano in parte gli stessi delle giornate di rabbia, quelle in cui era stata la gente a deporre il tiranno Ben Ali.
A Tunisi erano state ancora una volta le donne a prendere l’iniziativa, lunedì sera, trascinando gli uomini nella vie del centro, per occupare avenue Bourghiba e gridare un «no» corale a un progetto di Costituzione che nega la pari dignità con gli uomini. I parlamentari incaricati di redigere la nuova carta avevano osato toccare l’equilibrio delicatissimo voluto da Habib Bourghiba, arrivando a definire i sessi «complementari » e non uguali. Una scelta discussa anche dal presidente della Repubblica Mocef Marzouki, il quale ha detto ai manifestanti di avere esplicitamente richiesto l’espressione «uguaglianza totale » ai costituenti. Una scelta che giustamente le donne tunisine hanno interpretato come primo passo verso l’indebolimento delle norme che le tutelano esattamente dal 13 agosto del 1956, considerate un caposaldo culturale in Tunisia, dove la tradizione islamica convive con una presenza femminile molto significativa nel lavoro e nella politica. Probabilmente la manovra è stata fermata, anche a costo di ritardare il varo della nuova Costituzione, che sarà pronta forse solo nei primi mesi del 2013.
Il disagio espresso nelle piazze nasce dalle difficoltà economiche e dalla disoccupazione ma si affianca alla deriva autoritaria del partito Ennhada al governo, di pari passo con il tentativo di islamizzare maggiormente la società tunisina, tradizionalmente laica. Dei contrasti delle ultime settimane sembrano aver tratto vantaggio anche le ali più radicali dell’islam politico. I gruppi salafiti, che nei mesi scorsi si erano distinti per disordini all’università, sono tornati alla carica, stavolta se la sono presa con gli atleti alle Olimpiadi. Secondo loro Habiba Ghribi, argento nei tremila siepi e prima tunisina a vincere una medaglia, dovrebbe essere privata della nazionalità perché in gara indossava un abbigliamento «che rivelava troppo». Su Facebook i militanti del gruppo Ansar al Sharia hanno attaccato duramente anche il nuotatore Osama Mellouli, oro nei diecimila metri e bronzo nei 1500 stile libero, colpevole di aver bevuto prima della gara, violando il Ramadan.
La Repubblica 15.08.12