«NOI dobbiamo lasciare il Paese in ordine e consentire a chi verrà dopo di proseguire nell’opera di risanamento». Prima delle brevi vacanze che si è imposto e che ha imposto ai suoi ministri, Mario Monti ha voluto fare un rapido giro di consultazioni con i leader della sua “strana maggioranza” e con i vertici istituzionali: il capo dello Stato Napolitano e i presidenti di Senato e Camera Renato Schifani e Gianfranco Fini.
E con tutti Monti ha ripetuto come un mantra quello che considera l’obiettivo primario dell’esecutivo: rimettere in ordine i conti pubblici italiani e rivitalizzare un’economia boccheggiante. Ma quella tornata di incontri e telefonate ha prodotto una novità insperata: è ricomparso a palazzo Chigi un dossier che appariva sempre più sfocato nell’orizzonte visibile della politica italiana. Quello fiscale. Con tanto di taglio delle tasse, a cominciare dalle aliquote Irpef. Un capitolo che il premier, per il momento, non intende diffondere. Sopratutto non vuole alimentare inutili illusioni. Ne custodisce infatti con estrema attenzione il contenuto in uno dei cassetti della sua scrivania. E per ora si è limitato a recepire gli input dei suoi alleati. Senza, però, serrare i battenti: «Vedremo a settembre».
Quel faldone, infatti, è stato aperto in primo luogo dai segretari della coalizione. In quei colloqui pre-ferragostani sia Bersani, sia Alfano, hanno riproposto al premier il tema. Lo hanno invitato a riprendere in considerazione un fattore che può essere determinante per la “crescita” dell’economia e per affrontare la campagna elettorale con un successo da sventolare pubblicamente. Senza mezzi termini i due principali partiti della coalizione vogliono quindi inserire nell’agenda preelettorale del governo la “revisione” delle aliquote fiscali. «Un segnale — insiste da tempo il segretario dei democratici — va dato. Soprattutto ai cittadini più deboli».
L’argomento del resto era scomparso dai radar ministeriali da diverso tempo. A novembre, all’atto di nascita dell’esecutivo tecnico, il primo compito da svolgere era salvare il Paese dal default. L’idea di ridurre il peso delle imposte era semplicemente inimmaginabile. Adesso però la situazione è in parte cambiata. Tanto che dinanzi alle richieste dei partiti la risposta del presidente del Consiglio è stata questa volta meno negativa che in passato: «Vedremo a settembre». Una frase che ha lasciato uno spiraglio di speranza nei resoconti forniti da Alfano, Bersani e Casini ai loro rispettivi stati maggiori.
Da quel momento, dunque, nell’agenda autunnale di Monti figura anche questa ipotesi di studio. Il Professore, infatti, sta mettendo a punto proprio in questi giorni la road map di fine legislatura. Un percorso a tappe che incrocia gli appuntamenti europei e quelli italiani: gli incontri con i leader dell’Ue e gli obblighi per il risanamento economico, la riforma della giustizia e quella della legge elettorale.
Ma il vero centro del confronto potrebbe essere la riforma fiscale. Previsioni e grafici sugli effetti provocati dalle diverse soluzioni sono già sulla scrivania del premier e del ministro dell’Economia. Ipotesi, solo ipotesi al momento. Eppure l’ex rettore della Bocconi vuole almeno prendere in considerazione la possibilità di verificare i margini di praticabilità di un intervento sulle tasse. Ma, ha avvertito i suoi interlocutori “politici”, è pronto ad agire solo ed esclusivamente a tre condizioni: evitare le “nefaste” riproposizioni di condoni (sia fiscali, sia edilizi), rendere compatibile qualsiasi tipo di intervento con gli obiettivi di spesa pubblica e con gli impegni assunti con l’Unione europea a cominciare dal pareggio di bilancio per il prossimo anno, e un accordo pieno e totale tra le forze politiche sui criteri e sul tipo di “taglio” da apportare.
L’ipotesi del voto anticipato in autunno, nel frattempo, sembra allontanarsi e il Professore vuole impiegare gli ultimi mesi di legislatura per dare corpo alla aspettative di “crescita” invocata da tutti: forze politiche e sindacati, imprenditori e investitori stranieri. «Dopo aver fatto tutto quello che serve per salvare l’Italia — è il ragionamento che si fa a palazzo Chigi — ora vediamo se si può fare dell’altro. Crescita e sviluppo sono target imprescindibili».
Certo, sulla scrivania del presidente del consiglio i dossier governativi sono piazzati secondo un preciso ordine di necessità e urgenza. Il primo è quello “europeo”. Monti sa infatti che buona parte del futuro economico-finanziario dello Stivale dipende da tre importanti appuntamenti europei previsti a settembre: l’Eurogruppo fissato nella prima settimana del prossimo mese, la sentenza della Corte Costituzionale tedesca sullo scudo antispread (il capo del governo era stato informato tre giorni fa che non erano fondate le voci circa un rinvio della decisione) e la riunione del board della Bce convocato per la metà dello stesso mese. Un incontro decisivo nel quale si metteranno a punto operativamente gli interventi dell’Eurotower per tentare di porre sotto controllo gli spread ingiustificati e “normalizzare” le valutazioni dei titoli di Stato dei Paesi che “i compiti a casa” li hanno già fatti o li stanno facendo. Un meeting fondamentale perché palazzo Chigi — ripetono da giorni — non intende attivare lo “scudo” se verranno applicate “condizionalità” ulteriori rispetto a quanto concordato il 28 giugno scorso in occasione dell’ultimo consiglio europeo. E una prima controprova di quel che
stabilirà la Banca Centrale europea si avrà proprio il prossimo mese quando ripartiranno le ponderose aste dei Btp: quasi 12 miliardi da piazzare a settembre e altri 36 fino a dicembre.
Il secondo dossier riguarda il debito pubblico e le modalità per ridurlo. Già nel consiglio dei ministri prima di ferragosto erano state discusse alcune misure. A partire dalle dismissioni dei beni immobili e dal piano di Grilli per comprimere l’enorme fardello che appesantisce le casse dello Stato con uno piano quinquennale in grado di tagliare lo stock del 3-4% ogni anno. Senza svendere i gioielli di famiglia come Eni, Enel e Finmeccanica. «Dobbiamo stare molto attenti — ha avvertito il ministro dell’Economia proprio nell’ultima riunione di governo — il rischio scalate è concreto e dovremmo fare un uso molto deciso della golden share». In questo ambito il ruolo della Cassa depositi e prestiti — è l’intenzione dell’esecutivo — sarà centrale: conferimento di beni e aziende pubbliche in cambio di una equivalente riduzione del debito.
E il terzo dossier è appunto quello fiscale. Che — nei piani del Professore — se tutte le altre condizioni si saranno realizzate positivamente insieme a un consolidato controllo delle spese correnti, può essere affrontato in questi quattro mesi di legislatura («di fatto — ha ripetuto negli ultimi giorni — possiamo lavorare fino a dicembre, poi c’è la campagna elettorale ») attraverso due step fondamentali: il riordino dell’intero pacchetto delle agevolazioni fiscali e la legge di Stabilità — la ex Finanziaria — che dovrà essere approvata dalle Camere entro Natale. «In quel momento — spiega il sottosegretario ai rapporti con il Parlamento, Giampaolo D’Andrea — si potrebbe intervenire dando un segnale ai partiti e ai cittadini limando le aliquote fiscali anche di un solo punto».
Rimodellare gli scaglioni, però, può avere un risvolto politico. Il Pdl infatti chiede da tempo di ridurli per tutti. Il Pd reclama una manovra maggiormente incisiva sui redditi più bassi. Alla vigilia delle elezioni, allora, un’operazione di questo tipo è possibile solo se tutti i partiti della “strana maggioranza” sono d’accordo sui criteri di intervento. Perché Monti vuole tenere lontano il suo esecutivo dalla campagna elettorale e dalle eventuali accuse di favorire questo o quel blocco di riferimento. «Se tutti saranno d’accordo, vedremo». Ma da qui all’autunno il Professore deve soprattutto preparare la prossima tornata elettorale mettendo in sicurezza il Paese dal punto di vista economico. E “l’agenda montiana” ha in primo luogo questo obiettivo.
La Repubblica 15.08.12
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