È una messa in guardia che per il governo suona a futura (e ormai imminente) memoria, visto che in autunno dovrà varare la seconda fase della spending review. Un richiamo a non tirare troppo la corda o, meglio, a calibrare bene quanto e da quali parti la si dovrà tirare, con i prossimi tagli alla spessa pubblica. Perché il Paese è in sofferenza, la pressione fiscale tocca livelli record, gli effetti della crisi su famiglie e imprese diventano sempre più duri e si rischia che ne esca minata la stessa coesione sociale. Servono dunque, scrive il Quirinale a Palazzo Chigi, «scelte equilibrate» e, appunto, «sostenibili socialmente». Di più: servono scelte «coerenti con la necessaria priorità degli investimenti per l’innovazione, la ricerca e la formazione». Non per nulla, qualsiasi possibilità di sviluppo e crescita passa per quelle tre strade obbligate.
Ecco che cosa Giorgio Napolitano ha raccomandato all’esecutivo all’indomani della conversione in legge del decreto per la revisione della spesa. Lo ha fatto il 10 agosto, attraverso una lettera del segretario generale del Colle, Donato Marra, al sottosegretario Antonio Catricalà, in cui si riaffermano preoccupazioni già molte volte espresse, ma che in questa estate di inquietudine generale pesano in modo particolare.
La lettera-memorandum trapelata ieri nasceva dall’urgenza di segnalare un dubbio di natura tecnica. Infatti, nel percorso lungo il quale è maturato il provvedimento, tra le numerose modifiche intervenute ve n’è stata una che «non appare in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale in ordine alle caratteristiche proprie della decretazione d’urgenza». In sostanza: si è aggiunto all’articolo 8 «un emendamento che prevede un incremento dei limiti minimi e massimi di alcune sanzioni pecuniarie amministrative relative alle modalità di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali». Ora, il capo dello Stato ha concesso la propria firma all’intero testo. Tuttavia, osserva che quella particolare modifica potrebbe risultare non omogenea, una «esorbitanza» o quasi un abuso (come ha sentenziato il «giudice delle leggi» in un caso assimilabile) rispetto al vincolo di non alterare l’impianto originario dei decreti. Meglio quindi fare le dovute correzioni, «per prevenire un’eventuale pronuncia di incostituzionalità».
Esaurito tale nodo (e i problemi che hanno a che fare con la Consulta, per quanto ostici, non sono mai «questioni di lana caprina», come si dice), il presidente della Repubblica entra nel tema che gli sta più a cuore. Che è quello dei tagli per mettere in sicurezza i conti. Si sa che quelli fatti finora dal governo sono solo un primo assaggio, mirato agli sprechi, e che altri ne seguiranno. Per quanto tutto ciò sia doloroso, è comunque un processo inevitabile, e Napolitano lo sa bene. Gli preme, però, che sia preservata quella sfera del lavoro italiano attraverso la quale il Paese può ripartire e quindi assicurarsi una migliore tenuta sociale. Cioè la sfera dell’innovazione, della ricerca, della formazione. Prende atto — con evidente piacere — che «è stata soppressa per il 2012 la riduzione dei trasferimenti agli enti di ricerca». Ma, dopo aver rilevato che per il biennio 2013-2014 «le riduzioni» saranno demandate a un prossimo decreto, si sente vincolato a esprimere un auspicio/ammonimento: che «si valutino attentamente le finalità e la specifica condizione finanziaria di ciascun ente». Insomma: se nell’emergenza anticrisi è stato necessario far calare la scure con un certo affanno, per l’immediato futuro bisogna invece garantire che la spending review sia più meditata. Dando «priorità» a nuovi e coerenti «investimenti» (che il capo dello Stato ovviamente non indica dato che gli indirizzi e «il merito» delle scelte ricadono nelle responsabilità del governo). Stavolta c’è il tempo per riuscirci.
Il Corriere della Sera 15.08.12