Le imprese italiane vanno avanti con difficoltà, con un sistema del credito che ha stretto i cordoni, le commesse che mancano e i clienti vittime della crisi, sempre più spesso non riescono a tener dietro i pagamenti. Le insolvenze a giugno, secondo Banca d’Italia ammontavamo a 75 miliardi. E il fenomeno si allarga. Non riuscire a restituire i capitali ricevuti in prestito, non essere in grado di pagarci gli interessi, non farcela: è questo il “rischio insolvenza” – in tempi di crisi – incubo di molte imprese e di tante famiglie. Per la Banca centrale europea il pericolo di non onorare i propri debiti, in Italia, è più alto che altrove: il Bollettino d’agosto lo dice in termini molto chiari. In tutta la zona euro «c’è un netto deterioramento della valutazione del rischio di credito delle imprese », ma «l’incremento è stato particolarmente pronunciato per le imprese italiane e piuttosto moderato per quelle olandesi e tedesche». Amsterdam e Berlino non hanno molto da temere, dunque, Roma sì. Il tasso d’insolvenza – ovvero la percentuale di prestiti non rimborsati dalle aziende – secondo Francoforte è destinato ad aumentare. Poche parole per mettere sul piatto la «particolarità» del sistema Italia e un maggiore affanno confermato dalle cifre. Dietro all’analisi dei banchieri di Draghi, c’è una realtà composta da aziende in crisi di liquidità, ritardi nei pagamenti, difficoltà di credito, aumento dei protesti. Secondo la Banca d’Italia, nel mese di giugno, le insolvenze bancarie a carico delle aziende superavano i 75 miliardi di euro, in aumento del 17 per cento rispetto all’anno precedente. La Cgia di Mestre, a questa cifra, aggiunge i quasi 10 miliardi
a carico delle imprese a conduzione familiare portando la stima sotto il tetto degli 84 miliardi, in crescita – nel complesso – del 13,8 per cento. Una tendenza – fa notare – che ha indotto le banche a stringere ulteriormente i cordoni della borsa: i prestiti erogati sono diminuiti nell’anno del 2 per cento (meno 20 miliardi). L’Abi, l’associazione delle banche, conferma la crisi: «il tasso di decadimento, cioè il numero dei nuovi prestiti che entrano in sofferenza rispetto allo stock esistente ad inizio periodo, è passato dall’1,6 per cento del 2008 al 2,7 nel primo trimestre del 2012». Ma «le banche italiane hanno operato con la dovuta prudenza mantenendo intatta la loro solidità», precisa.
Questo il difficile quadro attuale, ma un recente studio del Cerved Group (datato luglio scorso) conferma le previsioni delle Bce. L’istituito di ricerca ha elaborato infatti l’indice CeGRI, che misura su una scala da 0 a 100 il rischio di insolvenza delle aziende italiane e ha valutato che nel 2012 e nel 2013 tale misura raggiungerà quota 70,5 un valore che per la prima volta nel decennio supera la soglia dei settanta punti. In crisi, secondo il rapporto, saranno soprattutto le imprese del Sud, le aziende di dimensioni ridotte e quelle volte al mercato interno. Fra i settori, a pagare lo scotto più alto sarà l’edilizia, dove l’indice toccherà un massimo di 75,8 punti; ad avere meno guai, invece, la meccanica (61,2). Una foto confermata dalla mappa delle crisi aziendali elaborata dal ministero dello Sviluppo economico: le grandi aziende che hanno un tavolo di crisi aperto sono 135 (solo 54 i casi risolti o a buon punto), ma al dato – precisa Salvatore Barone della Cgil – «va aggiunta la miriadi di piccole imprese a rischio di fallimento e le 300 aziende che hanno chiesto, e non ancora ottenuto, l’apertura di una trattativa al ministero».
Il governo annuncia, per settembre, un nuovo pacchetto di semplificazioni per incentivare la crescita. Ma a Confindustria non basta: se l’insolvenza aumenta è perché lo Stato non paga. Per il vicepresidente Boccia «bisogna affrontare la questione dei pagamenti della Pubblica amministrazione verso le imprese: siamo a quota 100 miliardi».
La Repubblica 10.08.12