Obiettivo debito. Dopo la riforma delle pensioni, dopo quella del lavoro, dopo la spending review e i decreti più o meno urgenti, sarà l’abbattimento di quei 1960 miliardi di euro la prossima mission del governo Monti. Mission necessaria, non solo al Paese, ma anche a scongiurare una volta per tutte – gli scenari e le minacce di elezioni anticipate. C’è molto da fare, per mandar giù ai ritmi che chiede l’Europa un ventesimo all’anno per la parte che eccede il 60 per cento – quel 123,4 per cento di debito rispetto al Pil che ci portiamo dietro. Certo, gli farà bene l’avanzo primario. È anche vero però che se non si mettono in campo risparmi significativi, e non si trova un modo di ricominciare a crescere, ogni sforzo risulterà vano.
Così, a parlare di debito, e non solo, ieri sono andati da Monti sia Pier Ferdinando Casini che Angelino Alfano. Il premier li ha ricevuti a Palazzo Chigi, il primo verso le dodici e mezza, il secondo cinque ore dopo. Il leader udc ne è uscito annunciando un quadrimestre di governo, da settembre a dicembre, tutto concentrato su una serie articolata di interventi per abbattere il debito: «Su cifre realistiche – però – non da libro dei sogni». Poi l’attacco sulla legge elettorale. Casini ha definito una «sceneggiata napoletana» il balletto sulle preferenze, cui l’Udc aspira da tempo. In precedenza aveva chiarito che l’intesa
col Pd potrà essere solo postelettorale («no ad alleanze morte come l’Ulivo o l’Unione»), e spiegato di star lavorando, insieme a Gianfranco Fini, a una coalizione di «persone serie». Tra queste, potrebbero esserci i ministri del governo Monti Andrea Riccardi e Paola Severino, l’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e il leader Cisl Raffaele Bonanni. Quanto al Pdl, secondo Casini, si è messo fuori dalla partita decidendo di ricandidare Silvio Berlusconi.
Angelino Alfano stavolta non ribatte: a Monti ha illustrato le proposte del suo partito per l’abbattimento del debito, un programma di dismissioni pubbliche che la successiva nota del
premier dice di prendere in seria considerazione. Anche se, fa notare il governo, un po’ di lavoro in questo senso è già stato fatto con la spending review, attraverso fondi appositi costituiti alla Cassa depositi e prestiti e al Demanio. In più, a palazzo Chigi Alfano avrebbe portato come obiettivo l’elezione del capo dello Stato. Una priorità, ripete il Pdl.
Dietro le quinte, però, ci sono le pressioni degli ex An che non volevano che il segretario andasse all’incontro dopo la battuta di Monti al Wall Street Journal («Con Berlusconi lo spread sarebbe salito a 1200»). Incidente archiviato – dice Alfano – «perché il Pdl è fatto da gente seria e positiva, che pensa all’interesse del Paese». Lo stesso Berlusconi
avrebbe detto, per placare le acque: «Fanno con lui come facevano con me, travisano ciò che dice. Questo non è il tempo di fare polemiche». E però, il coordinatore Ignazio La Russa esprime a Repubblica tutti altri umori: «Per noi da ieri si è chiusa una fase, da questo momento non abbiamo alcun obbligo nei confronti di Monti, approveremo solo i provvedimenti che riterremo utili e necessari». E pare che – a Palazzo Grazioli – la riunione di martedì sera sia stata tutta una lamentatio anti-Monti (a difenderlo, dice chi c’era, solo Franco Frattini).
Il voto anticipato, però, è ancora uno spettro inquietante: Denis Verdini ha presentato una simulazione fatta con l’ipotetico provincellum, secondo cui il Pdl perderebbe moltissimo nelle grandi città, a favore di Grillo, e dovrebbe candidare i big in due o tre collegi per essere certo dell’elezione.
Quanto al Pd, Monti sentirà Bersani nei prossimi giorni. Il segretario democratico ha – anche lui – ricette da proporre e priorità da indicare. Sul debito, certo, ma anche sulla crescita. Anche se tra i democratici – qualcuno comincia a litigare. Su Twitter il liberal Francesco Boccia critica il responsabile economico Stefano Fassina: «Serve una patrimoniale straordinaria sui grandi patrimoni, altrimenti siamo all’ipocrisia
assoluta».
La Repubblica 09.08.12
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La battaglia d’autunno prima delle elezioni”, di ALBERTO D’ARGENIO
Si deve far cassa, abbattere il debito pubblico per resistere ai mercati. Il governo guidato da Mario Monti si prepara alla ripresa di settembre. Entro venerdì fisserà l’agenda degli «ultimi quattro mesi di governo ». PERCHÉ per Palazzo Chigi il tempo utile per fare le riforme scadrà a dicembre. Dopo per la “strana maggioranza” sarà solo campagna elettorale. Monti ha incaricato il ministro dell’Economia di studiare nuove formule per tagliare il debito. Vittorio Grilli ci lavora da tempo. Ha già varato un piano per abbassare la montagna del debito – 1960 miliardi, il 123,4% del Pil – con un programma di dismissioni dei beni pubblici da 15-20 miliardi l’anno anche grazie all’intervento dei fondi costituiti dalla Cassa depositi e prestiti e dal Demanio. Piano già entrato in fase di realizzazione con la Spending review firmata ieri da Giorgio Napolitano. Ma per la sopravvivenza dell’euro bisogna fare di più.
Monti e Grilli ieri se ne sono occupati tutto il giorno. A Palazzo Chigi prima è arrivato il leader centrista Pier Ferdinando Casini.
Poi il segretario del Pdl Angelino Alfano. Che ha presentato il suo piano per tagliare il debito. Un documento che prevede una sforbiciata da 400 miliardi con il debito rapidamente sotto al 100% del Pil. Un’operazione, però, che a Palazzo Chigi considerano sostanzialmente irrealizzabile: sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Se, quindi, per Casini la proposta del Pdl è «irrealistica», si racconta di commenti ancora più divertiti circolati nelle stanze del governo una volta incassata l’archiviazione del “caso spread”. Quanto meno si parla di proposta «irricevibile e inattuabile per via dei tempi calcolati e delle cifre sovrastimate».
Semmai una buona base di partenza può essere la proposta formulata – anticipata dal Corriere da Giuliano Amato e da Franco Bassanini. «Noi siamo già attivi sul dossier – confermano a Palazzo Chigi – ma ben vengano nuove idee, siamo pronti ad approfondirle ». L’obiettivo del documento firmato dall’ex premier e dal presidente di Cdp è una sforbiciata al debito da 178 miliardi entro il 2017, pari al 2,5% all’anno. Tra le proposte che verranno prese in
considerazione, oltre alla vendita degli immobili già impostata, la valorizzazione delle concessioni, l’imposizione agli enti previdenziali dei professionisti di aumentare gli investimenti in titoli di Stato, incentivi e disincentivi fiscali per l’allungamento delle scadenze del debito. Dovrebbero invece escluse la cessione dei gioielli di Stato come Enel, Eni e Finmeccanica. «In questa fase – è il ragionamento di Monti e Grilli – vorrebbe dire svenderle». Così come qualche dubbio sulla tassazione dei capitali illegalmente detenuti in
Svizzera: il governo sta già lavorando a un accordo bilaterale con Berna, ma i tempi per chiuderlo non saranno brevissimi. Bocciata, invece, tanto dal governo quanto dal duo Amato-Bassanini l’idea di una patrimoniale.
Intanto Monti lavora per non far perdere slancio al governo nei prossimi cruciali mesi. Sarà allora – in autunno – che si capirà se l’Italia sarà in grado di farcela da sola o se sarà costretta a chiedere l’intervento dello scudo europeo contro gli spread. Per questo per Monti è fondamentale che il governo sia ancora attivo sulle riforme. Un segnale che potrebbe aiutare sui mercati oppure, se non bastasse, renderebbe più facile spuntare un memorandum “leggero” in caso di richiesta di attivazione dello scudo europeo. Ovvero ottenere l’intervento Ue in cambio della semplice certificazione delle riforme fatte e dell’impegno a proseguirle senza nuove promesse e
senza mettersi in casa i severi controllori della Troika, come invece avvenuto in Grecia. Palazzo Chigi ha chiesto ai ministeri di preparare per il Consiglio dei ministri di domani un documento con le misure ancora da realizzare. Alla riunione di domani si farà una scrematura, individuando su cosa concentrarsi a settembre. Certo è che in autunno il governo, oltre alle dismissioni, si concentrerà sulla seconda parte della Spending review (tagli agli enti locali da 10 miliardi), sul rapporto Giavazzi chiamato a riformare gli incentivi alle imprese (6-8 miliardi), e sul riordino delle agevolazioni fiscali (3-6 miliardi).
La Repubblica 09.08.12