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"Con le fabbriche ferme non ci sarà alcuna ripresa", di Laura Matteucci

«Il problema non è più la chiusura o meno di uno stabilimento. Ormai è in discussione la permanenza stessa del gruppo in Italia, l’assetto societario, i livelli occupazionali di tutti gli stabilimenti. La domanda vera è che cosa conservare di questa azienda». Ma Marchionne ancora l’altro giorno ha ribadito non mollo l’Italia , e non si è parlato di chiusure di fabbriche. «Se è per questo, aveva anche dichiarato che avrebbe prodotto 1 milione e 600 vetture, tra auto e non, entro il 2014: mi sembra evidente non riuscirà a mantenere la promessa. Sono dichiarazioni che attengono nella migliore delle ipotesi alla speranza, nella peggiore alla propaganda. Mi lascia perplesso che sindacalisti accorti, come il segretario della Cisl Bonanni, non si rendano conto degli impegni disattesi. Sono proprio loro, i firmatari dell’accordo, che dovrebbero essere veramente furiosi». È il deserto nelle fabbriche Fiat: il problema non sono le ferie d’agosto, ma la cassa integrazione che, anche alla riapertura dei cancelli, tra fine mese e inizio settembre, le costringerà alla produzione a singhiozzo. A Mirafiori, per dire, si lavora 3 giorni al mese da quasi un anno e, visto che il piano produttivo è congelato, si rischia di andare avanti così per chissà quanto ancora. Ne parliamo con Giorgio Airaudo, responsabile auto per la Fiom Cgil che, da Torino, segue da sempre la Fiat. L’incontro con i sindacati firmatari si è chiuso con un rinvio all’autunno: lei che cosa si aspetta? «Marchionne ha rimandato tutti ad ottobre, quando presenterà il piano per l’Europa, che peraltro riguarda soprattutto l’Italia, visto che gli unici altri stabilimenti nel continente sono uno in Serbia e l’altro in Polonia. Si tratterà di capire, una volta conclusa l’operazione di acquisizione della Chrysler, che cosa intenda conservare di questa azienda. Prendiamo Mirafiori: il piano per i nuovi prodotti è rinviato a fine 2013 ma, quand’anche venisse scongelato, la proposta sarebbe di lavorare su due prodotti al massimo, mentre all’arrivo di Marchionne funzionavano 5 linee per 7 prodotti. Negli altri stabilimenti la situazione non è diversa: la Panda non sta certo occupando tutti i 5mila lavoratori di Pomigliano, per dire. Insomma, il piano Fabbrica Italia è stato seppellito definitivamente, abbiamo di fronte una proprietà che, attraverso la Exor, investe per il 70% fuori dall’auto e fuori dall’Europa, e che ha dato compito al management di proporre un nuovo azionariato. Tra l’altro, di scritto per l’Italia c’è poco o nulla, mentre in Serbia, Stati Uniti, Russia, sono state sottoscritte pagine e pagine di accordi. In questo, c’è anche una chiara responsabilità dei governi: quello precedente innanzitutto, ma l’attuale non è da meno. Il governo dei tecnici non capisco come possa pensare alla crescita senza una strategia produttiva, come creda di attrarre investimenti se poi non viene nemmeno aperto un confronto con la Volkswagen, che ha chiesto di rilevare il marchio Alfa Romeo. In tutto questo, i lavoratori sono stati lasciati soli, e ad una crisi pesante si sono aggiunti gli errori di Marchionne». Quali errori? «Ha immaginato una crisi dura ma rapida, invece perdura da anni. Non è uscito con nuovi modelli, e a questo punto chi si sta risollevando sono i tedeschi e gli asiatici, che iniziano a vedere i ritorni degli investimenti di lungo periodo fatti in Europa. E le quote di mercato perdute sarà molto dura riuscire a recuperarle». All’inizio del nuovo Millennio, e data la situazione globale, si potrebbe pensare ad auto diverse… «Peccato che, a margine di una trattativa, sulle auto elettriche e ibride fu proprio Marchionne a confidarmi l’azionista non mi dà i soldi . Parlo di 3,4 anni fa, prima della guerra che ha deciso di intraprendere con i lavoratori. Ma da allora non è cambiato nulla in questo senso».

L’Unità 05.08.12