I mercati che hanno reagito così negativamente all’esito del Consiglio Bce sembrano non aver afferrato fino in fondo la portata della nuova mossa di Draghi. Il presidente della Banca centrale europea non ha fatto nessun passo indietro. Semmai ne ha fatti due avanti mettendo con le spalle al muro non solo i tedeschi, ma anche gli italiani e gli spagnoli ai quali chiede un impegno, formale e sostanziale, che li vincoli alla disciplina di bilancio oltre il prevedibile orizzonte politico. Una mossa che ha nel mirino soprattutto l’Italia e le incertezze sul dopo-Monti.
Vediamo in dettaglio il senso delle decisioni prese ieri a Francoforte. Rispetto al discorso di Londra, tanto apprezzato dai mercati, in cui annunciava l’irreversibilità dell’euro e la determinazione a fare «tutto il necessario » per salvaguardare la moneta unica, Draghi ha ottenuto il consenso unanime (non scontato) del board e del Consiglio dei governatori. Rispetto alla prospettiva di un intervento della Banca centrale
sul mercato dei titoli per limitare lo spread, il presidente ha incassato una larghissima maggioranza: hanno votato a favore perfino due “falchi” come i governatori olandese e finlandese (e in questo ci potrebbe essere lo zampino di Monti e della sua visita a Helsinki). La Bundesbank dissente, è ovvio, ma è in nettissima minoranza e anche l’altro esponente tedesco nel board della Bce, Asmussen, designato dalla Cancelliera, ha dato parere positivo. Dunque l’intervento si potrà fare, quando e come la Bce lo riterrà opportuno. In più Draghi ha anche ottenuto un via libera a utilizzare «mezzi non convenzionali», come nuove facilitazioni di credito alle banche, che ora sono allo studio e potrebbero essere messi in campo nelle prossime settimane.
Ma ieri la Bce ha ulteriormente alzato il tiro rispetto al discorso di Londra, coerentemente con le premesse di Draghi secondo cui l’azione di Francoforte deve andare in parallelo con l’impegno dei governi a fare le riforme e a proseguire nel risanamento dei bilanci. In sostanza, la Banca centrale ha lasciato capire che il suo intervento sarà condizionato all’attivazione del meccanismo anti-spread del fondo Efsf, e successivamente dell’Esm. Non è forse quello che avrebbero voluto i politici italiani, che speravano in un intervento della Bce per evitare di chiedere aiuto al fondo europeo e accettarne le condizioni. Ma Monti, probabilmente, aveva già capito da qualche tempo dove si andava a parare e lo ha lasciato intendere quando da Helsinki ha accennato alla possibilità di attivare lo scudo antispread.
In sostanza, la Bce dice: noi siamo pronti a intervenire per ridurre gli spread, conservare la cinghia di trasmissione della politica monetaria e annullare quella parte di divergenza dei tassi che è dovuta alla sfiducia nella sopravvivenza della moneta unica. Ma per farlo vogliamo una garanzia tangibile da parte dei governi a rischio sul fatto che le politiche di risanamento non verranno modificate neppure in futuro.
La richiesta è legittima, soprattutto viste le incertezze del quadro italiano, dove una parte consistente del mondo politico critica, apertamente o velatamente, le scelte del governo Monti e dove i partiti in nove mesi non sono riusciti a varare neppure una riforma elettorale credibile. In questo momento, oggettivamente, l’Italia non è in grado di garantire né all’Europa né ai mercati che la politica di rigore e risanamento continuerà anche nei prossimi cinque-dieci anni, che è l’orizzonte temporale necessario per varare la federalizzazione dei bilanci europei.
Per ottenere garanzie sul futuro, dunque, la Bce chiede che il suo intervento sia preceduto dalla richiesta dei Paesi sotto attacco di attivare il meccanismo anti-spread, con le condizionalità che questo comporta. È proprio ciò che Monti avrebbe forse voluto evitare. Ma, nella sua crociata per salvaguardare una piena sovranità sulle politiche di bilancio, non è certo stato aiutato né dall’opposizione né da una consistente fetta della maggioranza che lo sostiene.
Intendiamoci, grazie alla battaglia condotta dall’Italia al vertice di giugno, l’attivazione dello scudo anti-spread non comporterà nuove condizioni aggiuntive (come era successo per Grecia, Irlanda e Portogallo). Semplicemente Roma si impegnerà a rispettare, ora e in futuro, le stringenti linee guida che ha concordato con Bruxelles. E che dovrà continuare a concordare anno dopo anno, governo dopo governo, nel corso del cosiddetto “semestre europeo” in cui ciascun Paese sottopone i suoi progetti di bilancio all’approvazione di Bruxelles. La garanzia in più per gli europei, e per i mercati, verrà dal fatto che nessun futuro governo potrà ottenere carta bianca per bilanci meno che rigorosi e per politiche economiche che non rilancino la competitività. E che una ipotetica violazione degli impegni assunti sul fronte europeo non sarà solo punita con le procedure di infrazione e le multe, già previste nei trattati, ma verrà immediatamente sanzionata dalla sospensione degli interventi anti-spread che ci esporrebbe ad un rischio imminente di bancarotta.
Porgendoci una cima di salvataggio, Draghi si vuole assicurare che, una volta salvati, non torneremo a far rovesciare la barca europea con comportamenti irresponsabili. Ed è proprio questa mossa che gli ha garantito ieri l’appoggio, tutt’altro che scontato, della Cancelliera e delle banche centrali del Nord.
La Repubblica 03.08.12