È possibile che entrino duramente in conflitto la salute, diritto fondamentale della persona (art. 32 della Costituzione), e il lavoro, fondamento della Repubblica (art. 1)? Sì, è possibile. E non è la prima volta che, nelle piazze italiane, si pronunciano le terribili parole “meglio morti di cancro che morti di fame”. Quando si è obbligati ad associare il lavoro con la morte, si tratti di produzioni nocive o di infortuni, davvero siamo di fronte a inammissibili violazioni dell’umanità delle persone. Il lavoro si trasforma in condanna quotidiana, che non arriva però da una maledizione biblica, ma dal modo in cui è concretamente organizzato il mondo della produzione.
Da dove cominciare per cercare di comprendere queste vicende? Ancora una volta ci aiuta la Costituzione con il suo articolo 41. Qui si dice che l’iniziativa economica privata, dunque l’attività d’impresa, «non può svolgersi in contrasto con la sicurezza, la libertà e la dignità umana». Vale la pena di sottolineare la lungimiranza dei costituenti, che posero la sicurezza prima ancora di libertà e dignità. E la sicurezza riguarda il lavoro, ma è pure sicurezza per i cittadini nell’ambiente e per i prodotti che consumano. Quelle parole nella Costituzione piacciono sempre di meno e si cerca di cancellarle, in nome della legge “naturale” del mercato. In un decreto recente, salvato acrobaticamente dalla Corte Costituzionale, si è messo abusivamente al primo posto il principio di concorrenza, nel tentativo di ridimensionare la portata complessiva di quell’articolo. Lungo è il catalogo dei fatti di cronaca che rendono evidente la mortificazione del lavoro attraverso il sacrificio della salute del lavoratore. Taranto è il nome di un luogo che si aggiunge a Marghera, Casale Monferrato, Val di Chiana, per citare solo i casi più noti. Quando l’attività d’impresa viene organizzata prescindendo dal fatto che la sicurezza dei lavoratori è un obbligo giuridico e un dovere collettivo, sono sempre devastanti le conseguenze umane e sociali.
La soluzione non poteva venire dalla tecnica molte volte usata di monetizzazione del rischio – denaro in cambio di salute. Bruno Trentin sottolineava la necessità di andare oltre l’ottica puramente retributiva e di tutelare nella sua integralità la persona del lavoratore. Né può venire dalla pretesa di un silenzio della magistratura di fronte a violazioni gravi e ripetute di un diritto fondamentale e di specifiche norme di legge.
Sempre più spesso i lavoratori sono vittime di ricatti. Occupazione a qualsiasi prezzo, anche della vita. Occupazione con sacrificio della libertà, come è accaduto con il referendum di Mirafiori sovrastato dalla minaccia della chiusura della Fiat. Questa è la spirale da spezzare. Soluzioni provvisorie possono essere ricercate, ma ad una sola condizione: la restaurazione integrale dei diritti dei lavoratori, che diventa anche la via per tutelare i diritti di tutti, come quello all’ambiente.
Sono tempi duri per i diritti fondamentali, per quelli sociali in specie. In nome dell’emergenza, siamo ormai di fronte a vere e proprie sospensioni di garanzie costituzionali. Si è dimenticato che l’articolo 36 della Costituzione prevede che la retribuzione debba garantire al lavoratore e alla sua famiglia «un’esistenza libera e dignitosa». Non essere il prezzo della perdita d’ogni diritto.
La Repubblica 02.08.12