Il governo ha infine deciso di aumentare le tasse universitarie per tutti. È una scelta grave, prima di tutto per una questione di metodo. Si era partiti con un comma del decreto legge sulla «revisione della spesa» che, con un artificio tecnico da addetti ai lavori, rendeva possibile un incremento della «contribuzione studentesca» che avrebbe potuto anche superare il 50 per cento per gli studenti in corso ed era teoricamente illimitato per i fuori corso. Di fronte alle ovvie reazioni, i relatori in commissione Bilancio al Senato avevano messo a punto un emendamento, che correggeva radicalmente la prospettiva dell’intervento. I n sostanza, l’intervento veniva limitato ad una sorta di disincentivo «punitivo» per gli studenti in ritardo nella tabella di marcia, e comunque fissando un tetto del 25 per cento di aumento per la stragrande maggioranza degli interessati. Il ritardo nel conseguimento della laurea è spesso motivato da ragioni diverse dalla pigrizia degli studenti, a partire dal diffuso disinteresse di troppi docenti per le loro responsabilità didattiche, ma il segnale acceso su quella che resta una evidente patologia del nostro sistema universitario era opportuno e lo strumento, per quanto discutibile, non assomigliava comunque a una scure. Ma poi in Aula è arrivata la sorpresa. Nel suo maxi-emendamento il governo ha cambiato una parola e, così facendo, ha cambiato tutto, tornando sostanzialmente all’impostazione originaria. Tutti gli «importi» a carico dei fuori corso, e non più solo gli «incrementi» rispetto alla contribuzione prevista per gli studenti «in regola», sembrano nuovamente esclusi dal calcolo della cifra complessiva delle tasse che le università possono far pagare ai loro studenti. Un confronto che è stato serrato, ma sincero e nel quale il governo aveva ribadito l’intenzione di non voler scaricare sui giovani il costo del progressivo definanziamento dell’università pubblica, è risultato alla fine inutile. Ci saranno più tasse – potenzialmente molte più tasse – per tutti coloro il cui Isee familiare supera i 40 mila euro. Con l’aggravante che le parole per spiegare e giustificare arriveranno solo ora che il Senato ha approvato un testo che è radicalmente diverso da quello, sul quale era stato raggiunto un ragionevole consenso e che è passato così quasi di soppiatto. Il tema delle tasse universitarie va affrontato senza preclusioni ideologiche e senza dimenticare che l’attuale sistema ha anche perversi effetti redistributivi a vantaggio di chi meno ne avrebbe bisogno. Ma non si può accettare che provvedimenti di questa portata vengano varati senza aver percorso fino in fondo la strada di parole chiare e distinte, pronunciate a viso aperto, che sono le uniche delle quali la politica italiana ha bisogno in questo difficilissimo momento. Si può solo sperare che il governo ritrovi subito il coraggio di queste parole, che pure ha saputo usare in questi mesi in diverse occasioni, insieme alla misura che caratterizzava anche il testo uscito dalla commissione Bilancio del Senato e che è purtroppo ormai perduto. Resta, per il momento, anche la perplessità sul merito, sulle conseguenze di questo provvedimento. Si trasmette l’idea che lo Stato continuerà a ridurre il suo impegno anche in questo settore, il che può apparire inevitabile quando tutti sanno che rivedere la spesa significa in questo momento semplicemente tagliarla, e non spendere meglio e magari di più riducendo gli sprechi. Ma è proprio per questo che sarebbe necessario almeno uno sforzo di rilancio dell’idea di università. Uno sforzo che, purtroppo, non si vede, come non si è visto il provvedimento per la valorizzazione della capacità e del merito, ma anche della responsabilità educativa e sociale nella scuola e nell’università che il governo aveva annunciato come imminente. Anche intorno a quel testo si era subito acceso un dibattito di forti argomenti e passioni. Ma è da quell’obiettivo che occorre ripartire. È triste aver rinunciato a far crescere il livello della responsabilità educativa e sociale nelle nostre università per accontentarsi di aumentare quello delle tasse.
L’Unità 01.08.12