Lo spaventoso incremento degli incendi di quest’anno rispetto al 2011 non deve sorprendere per almeno due motivi. L’anno scorso si era ben al di sotto delle consuete medie nazionali, circa 50.000-100.000 ettari bruciati all’anno nei decenni passati. E non tutti prendono contro il fuoco quei provvedimenti dimostratisi utili, perché con gli incendi c’è ancora chi ci guadagna, considerandoli un modo di «controllare» il territorio. Già il fatto che si parli ancora di piromani la dice lunga sulla vera e propria affezione che c’è verso il fuoco da parte dell’uomo: in realtà qui i piromani non esistono, esistono, invece, i criminali del fuoco che appiccano incendi per ottenere un guadagno che è manifesto. Dove passa il fuoco non c’è più pregio ambientale, dunque non c’è più ragione di imporre vincoli alle costruzioni e alle infrastrutture spesso inutili. Anzi, il fuoco è più comodo, non devi chiedere lunghi permessi né attendere controlli. La prima ragione del fuoco è sempre la speculazione. Poi ci sono le ragioni tribali, le dispute territoriali, i dispetti, la distrazione. E per fortuna nessuno parla più di autocombustione, fenomeno rarissimo nelle foreste incontaminate, figuriamoci attorno ai centri abitati.
C’era un tempo in cui gli incendi erano indispensabili agli ecosistemi: il fuoco permetteva il rinnovamento e il ringiovanimento di specie e habitat, pur con delle perdite qualche volta ingenti. Ma oggi, in ecosistemi malati l’incendio provoca un doppio danno: da un lato la perdita di biodiversità, paesaggio e godimento anche culturale. Dall’altro gli effetti sui versanti si percepiscono con le piogge autunnali: senza protezione di radici e arbusti il dissesto idrogeologico si incrementa esponenzialmente.
Cosa si dovrebbe fare è noto da anni. Prendiamo il caso dell’isola d’Elba: fino ai primi anni del Duemila gli incendi dolosi bruciavano centinaia di ettari e arrivavano a uccidere persone. Ma un criminale del fuoco fu assicurato alla giustizia e i Comuni compilarono finalmente il censimento delle aree incendiate, facendo valere il principio che così vengono certificate e che in quelle aree nessuna attività costruttiva è più possibile. Di colpo, gli incendi all’Elba sono diminuiti di oltre il 90%. Perché non si provvede a un censimento nazionale delle aree incendiate, magari affidandolo alle prefetture, visto che i Comuni sono restii a farlo? E la legge 353/2000, che impedisce di costruire nelle aree incendiate, che fine ha fatto nel resto d’Italia? Ci sarebbero poi le nuove tecnologie, in grado di individuare una scintilla. Servirebbero anche più uomini e mezzi, perché non è tanto un problema di Canadair: quando interviene un mezzo aereo si può essere sicuri che quel fuoco ha vinto.
La Stampa 31.07.12