Che meraviglia queste tre ragazze italiane, questi tre profili sul podio: un airone sottile, una bambola bambina, una madre con le prime rughe. Elisa, Arianna, Valentina. Che spettacolo queste tre donne così diverse così uguali, nemiche e compagne di squadra, rivali e vicine di letto. BELLE come il sole direbbero e diranno le loro mamme: sei bella come il sole. Ciascuna lo è. Che sorrisi, che impresa. Quanto dolore perdere di un soffio, quella lacrima che scende e la mano con le unghie blu di Arianna Errigo che la asciuga, che meraviglia vincere all’ultima stoccata, gli occhi che cercano il cielo di Elisa Di Francisca, in un secondo che ti giochi tutto in quell’attimo e non vedi non senti altro che sì, è la tua volta, è il tuo momento. È adesso. Che orgoglio risalire la china del terzo posto con la zampata della vecchia leonessa, che tempra il vecchio Cobra, Valentina Vezzali è ancora qui. Oro incenso e mirra hanno portato, venute da tempi diversi della vita: una ragazzina, una giovane donna, una campionessa alle soglie dei quaranta. Tre donne, tre destini che si annodano e si snodano in un soffio.
Vezzali era venuta con i suoi 38 anni, la madre e il figlio di 7 in tribuna, la storia della scherma già scritta per vincere il suo quarto oro ed entrare nella leggenda. Portabandiera della squadra olimpica. Invincibile, implacabile. Cattiva, in pedana. Solitaria fuori. Pochissimo amata dalle compagne di squadra: la vecchia, la chiamano. Ha affrontato Arianna Errigo, di 14 anni più giovane, tesissima. «Ho sbagliato la parte centrale della gara», dirà poi in lacrime, «niente da dire: ho sbagliato. Ha sempre ragione chi vince. Arianna attaccava molto, l’ho ripresa troppo tardi ».
Arianna attaccava molto, con i suoi 24 anni e le sue unghie blu fino a mezz’ora prima rosicchiate su una panchina lungo il Tamigi, nell’attesa. Prima olimpiade. Come va, Arianna? Come ti senti a dover affrontare la Vezzali? “Benissimo, mi sento bene. L’ho già sconfitta un mese fa, posso farlo ancora. Non ho voglia di aspettare altri quattro anni, non ditemi che ho tempo. Posso farlo ora”. E difatti sì, ecco: danzando in pedana come se fosse un ballo, una piroetta una mezza giravolta ad ogni stoccata, batte i piedi, urla, Valentina resta lì a guardarla a braccia conserte, 14 a 11, 14 a 12, non basta, è troppo tardi, la bambina col viso di bambola canta e danza veloce, troppo veloce. È un attimo, Vezzali è sconfitta.
Elisa Di Francisca, 30 anni, esce fuori a fumare. Una Marlboro, due. Ha eliminato la Nam, la coreana minuscola e veloce come un’ape, rimontando quando sembrava finita. Ora fuma, guarda il fiume. La finale
sarà contro Arianna. Sono compagne di stanza, al villaggio olimpico, proprio come Valentina Vezzali e Giovanna Trillini lo furono ad Atene. Una finale fa due rivali che stasera dormiranno in due letti gemelli, ciascuna con la sua medaglia sul comodino. Hanno già vinto entrambe, perché sconfiggere Valentina Vezzali – la rivale crudele – era la battaglia comune. Se lo erano dette alla vigilia: questa volta una delle due ce la fa, la battiamo. E infatti ecco, sì. Ora tutto
sembra più facile, Elisa ha un sorriso bello e malinconico, Arianna tiene la testa fra le mani. Chiunque vinca, la storia è scritta.
Valentina ancora in pedana, adesso. Mezz’ora dopo la sconfitta dalla ragazzina, con le lacrime ancora da ingoiare, sale a giocarsi il terzo posto. Agguanta la medaglia contro la Nam con un’impresa storica, una rimonta mai vista: se la mangia in 22 secondi,
gli ultimi. Rimonta da 8 a 12 con tre affondi negli ultimi 9 secondi, quello finale a un secondo dalla conclusione. Un secondo. Piange ancora, adesso. «Mamma mi ha detto che sono stata brava», dice. Mamma mi ha detto. Pietro la abbraccia e piange con lei. È comunque un bronzo, poteva essere oro o argento. «Ora faccio un altro figlio, poi vediamo a Rio». Ma l’occasione era questa e Valentina lo sa. Mi dispiace, ripete. Mi dispiace tanto. Ora le piccole, per la finale. Sembra non vogliano farsi male, sono sempre in pareggio. Elisa si muove dinoccolata e fluida, Arianna è più nervosa. Toglie la maschera, si tocca i capelli rame. «Arrivo sempre in fondo e non vinco mai», aveva detto ridendo poco prima sul fiume. Un destino. La stoccata finale arriva al minuto supplementare, dopo un match da infarto finito in pareggio. La lama di Elisa la colpisce al centro del petto, dove parte il respiro. Piange, la bambina. Sul podio piange ancora. La foto finale mostra tre donne di 20, 30, 40 anni. La piccola non riesce a sorridere nemmeno quando le mettono al collo la medaglia. La vecchia mostra tutti i denti in un ghigno di sfida e di orgoglio, sono ancora qui, eccomi, figuriamoci se non sorrido alle foto. Due sfingi, due modi di perdere. La campionessa olimpica leva la medaglia al cielo ed è felice, lei sì, e davvero bellissima. L’età di mezzo della vita, 30 anni. Arriva sempre il momento in cui anche i Cobra trovano un animale più giovane e più forte, magari un uccello in volo che plana, una bambina col viso rotondo che non ha paura. Non è una tragedia, è la vita. E’ il tempo che passa, tre stagioni che si avvicendano. Tre donne formidabili e forti, così diverse e così uguali. È proprio bello, ma molto bello così.
La repubblica 29.07.12