La dichiarazione congiunta Merkel-Hollande che parla della «necessità di applicare velocemente le decisioni prese dal Consiglio europeo del 28 e 29 giugno» è impegnativa. Di fatto è un’approvazione della linea strategica di Draghi, secondo cui la Bce sosterrà la moneta europea anche con l’acquisto di titoli sovrani dei paesi in difficoltà. Bene. Adesso – dopo le parole – aspettiamo i fatti. Gli avversari più tenaci di questa linea si trovano in Germania. Non nel governo, ma nel cuore della classe dirigente tedesca. Ieri la Bundesbank aveva criticato apertamente e fortemente la posizione della Bce, trovando largo consenso sulla stampa. Unica voce autorevole discorde, di sostegno a Draghi, è stata quella del ministro dell’Economia Wolfgang Schäuble. In un secondo momento è stata la volta della cancelliera.
Che cosa sta accadendo in Germania? Stanno (finalmente) venendo alla luce le tensioni da tempo latenti all’interno della classe dirigente tedesca nel suo insieme? Diciamo subito che non si tratta semplicisticamente di falchi e colombe. Ma neppure – contrariamente alle apparenze – di contrasti tra istituti che hanno competenze e responsabilità differenti: tecnico-finanziarie da una parte e strettamente politiche dall’altra.
Al di là delle sue competenze formali, la Bundesbank è un istituto di primaria importanza politica.
Non c’ è bisogno di esser esperti di economia o di sistema bancario: basta leggere i commenti di approvazione alla nota della Bundesbank che sono apparsi sui grandi giornali. Accanto alle considerazioni tecnico-economiche viene fuori la vera ragione del no alla Bce. L’iniziativa di Draghi – si dice – illude gli Stati debitori che la loro crisi venga risolta «dall’Europa», senza che si diano da fare a mettere in ordine i propri bilanci e rendere competitive le economie delle nazioni. «La Bce rischia i soldi dei contribuenti senza essere legittimata democraticamente».
Quello di Draghi è «un cavallo di Troia, che non difende più i principi, ma un’Europa in cui è il Sud a comandare. La conseguenza sarà una redistribuzione a spese del Nord senza risolvere alcun problema». A questo punto mi chiedo quando l’aggettivo complimentoso di Draghi «il tedesco» sarà sostituito da quello di Draghi «l’italiano».
E’ triste scrivere queste cose, se non rappresentassero il bordone populista che sta sullo sfondo di tutte le considerazioni del discorso pubblico «politicamente corretto». Involontariamente il governo di Berlino e la stessa cancelliera Merkel ha sostenuto la sua strategia di rigore di questi anni con ampi difetti di incomprensione di altre situazioni nazionali certamente meno virtuose, ma non per questo immeritevoli di sostegno.
Siamo ora ad una svolta? E’ probabile. O quanto meno me lo auguro. Non mi sorprende che la grande tattica Angela Merkel abbia finalmente capito che la sua posizione (e quella della Germania) in Europa è diventata insostenibile. E alla lunga dannosa per la stessa economia tedesca. Ma il lavoro di convincimento sull’opinione pubblica sarà molto impegnativo. Dovrà dare fondo a tutta la sua popolarità. Paradossalmente la cancelliera avrà vita meno difficile in Parlamento, dove la socialdemocrazia potrebbe darle una mano per tenere a bada i democristiani e i liberali ultrarigoristi. Questi con il loro atteggiamento non solo hanno isolato la Germania dall’Europa, ma non si rendono conto che a medio termine indeboliscono la stessa economia tedesca. L’economicismo è sempre ottuso.
Ma Angela Merkel potrebbe essere di fronte ad una prova molto difficile. Personalmente sono convinto che molti tedeschi in posizione di responsabilità economica e finanziaria (forse nella stessa Bundesbank), sono pronti a lasciar fallire l’euro e a costituire una comunità economica del Nord. Naturalmente non faranno nessuna azione «sovversiva». Semplicemente lasceranno andare le cose come vanno ora. Ci penseranno i mercati. L’Europa del Sud sarà alla deriva tra inevitabile rigore e rivolte sociali. E’ una prospettiva terribile che fa carta straccia di tutta la retorica europeista di cui si sono nutriti molti tedeschi sino ad un paio d’anni fa.
Spero naturalmente che questo sia solo un incubo. Ma ancora una volta dobbiamo guardare a Berlino per una alternativa, anche se – stavolta – come italiani abbiamo le carte in regola.
La Stampa 28.07.12