Sono bastate alcune nette e decise affermazioni del presidente Draghi a favore di un intervento della Bce a sostegno dell’euro per provocare una spettacolare conversione a U nei mercati europei, con le Borse in forte ripresa e un allentamento della tensione sui debiti sovrani. Lo spread dei nostri Btp è retrocesso fino a 473 punti base rispetto agli oltre 530 punti toccati ieri.
Se le affermazioni di Draghi, fatte intervenendo alla Global Investment Conference di Londra, confermano, da un lato, la decisione della Bce di scendere apertamente in campo perché consapevole della fase drammatica in cui versa la crisi europea, rimane aperto, dall’altro, il quesito di come interpretare la portata e il possibile impatto di questi interventi. Al riguardo, le dichiarazioni più rilevanti sono state soprattutto due: la Bce è pronta a intervenire facendo tutto quello che è necessario per salvare la moneta unica, sempre nell’ambito del mandato affidatole come banca centrale, qualora l’euro rischiasse l’estinzione; la soluzione del problema degli spread se i premi richiesti dal mercato sui costi di finanziamento dei paesi dovessero danneggiare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria rientrerebbe pienamente nel mandato della Bce. Ora che la crisi dell’Eurozona sia ormai giunta a uno stadio così avanzato da mettere a rischio l’intero sistema e la stessa sopravvivenza della moneta unica è un dato di fatto da settimane sotto gli occhi di tutti. Allo stesso tempo, un altro fatto è che la situazione dei Paesi debitori – a partire da Spagna e Italia – si sia deteriorata drammaticamente nel periodo più recente, a causa di livelli anomali degli spread determinati più da aspettative legate ai rischi e ai fallimenti sistemici del funzionamento dell’area euro che a comportamenti e responsabilità dei singoli Paesi. Se teniamo conto di tutto ciò, una prima possibile interpretazione della presa di posizione di Draghi è quella di un messaggio forte inviato ai mercati che proietta l’immagine di una Bce pronta a realizzare massicci acquisti di titoli di Stato attraverso operazioni di mercato aperto, fatte non per finanziare i Paesi interessati (in quanto espressamente vietato alla Bce) ma per fornire la liquidità necessaria a ripristinare un ordinato funzionamento dei mercati e la conseguente trasmissione della politica monetaria. Interventi di questo genere possono non aver limiti e in quanto tale assumere un effetto deterrente di grande portata nei confronti dei mercati così da determinare una rapida intensa discesa degli spread e dei tassi di interesse dei Paesi più indebitati. In questo caso saremmo di fronte a un segno di forte discontinuità rispetto a quanto accaduto finora, con rendimenti dei titoli sovrani di Paesi come l’Italia e la Spagna che sono stati totalmente in balia di valutazioni erratiche dei mercati finanziari e delle forze speculative in essi operanti. Va considerato il fatto, tuttavia, che la Bce opera all’interno di un mandato molto più limitato delle altre banche centrali, per esempio proprio rispetto alle operazioni di mercato aperto. Ciò può sollevare forti dubbi sulla possibilità di veder realizzati nelle prossime settimane interventi del genere sopra richiamato. Per non parlare della forte opposizione che questi ultimi incontrerebbero da parte della Bundesbank. C’è allora un secondo modo di interpretare la mossa di Draghi, che ridimensiona la portata degli interventi realizzabili da parte della Bce e quindi anche il prevedibile impatto sulla crisi. Da mesi la Bce ha sospeso il programma acquisto di titoli di stato dei Paesi più indebitati (il cosiddetto Smp), tra cui quelli spagnoli e italiani, che era stato avviato sotto la guida dell’ex presidente Jean-Claude Trichet. Alla luce delle affermazioni di Draghi tale programma potrebbe essere ripreso. In questa eventualità, la Bce potrebbe mirare a alleggerire, innanzitutto, la pressione sui bonos spagnoli e dal momento che la Spagna ha già firmato un Memorandum di impegni per ottenere il pacchetto di aiuti di 100 miliardi in favore delle sue banche, gli acquisti di titoli sovrani spagnoli, attraverso il Smp, avverrebbero con le condizionalità che interventi di questo genere richiedono. La probabile riduzione degli spread sui bonos spagnoli avvantaggerebbe, di riflesso, anche i nostri titoli sovrani. Ma è evidente che interventi della Bce di questo genere avrebbero tempi e limiti ben definiti, come già avvenuto in passato, e potrebbero garantire solo una fase di transizione in attesa che il fondo salva-Stati – l’Esm – sia reso operativo e in grado di sostituirsi quale meccanismo anti-spread. Mario Draghi ha in effetti ribadito sia che l’Istituto centrale non vuole affatto sopperire ad azioni che possono essere messe in atto dai governi dell’euro sia che gli accordi stipulati al summit europeo di fine giugno rappresentano un passo avanti fondamentale e vanno resi operativi. Il che finirebbe per ridare la palla ai governi dell’euro e alla necessità che mettano in piedi, al più presto, adeguati sostegni di liquidità per intervenire in futuro sui mercati dei debiti sovrani a favore di quei Paesi – come Italia e Spagna – che seppur in regola con le raccomandazione delle politiche economiche comuni non vedono i loro sforzi di aggiustamento riconosciuti dai mercati. In questa seconda interpretazione, la Bce rilancerebbe un programma di acquisti attraverso l’Smp avviando interventi di liquidità diretti a riportare ordine sui mercati, ma con l’effetto più limitato di guadagnare solo un po’ di tempo e garantire una fase di transizione i cui esiti resterebbero tutti nelle mani dei governi e della politica europei. Per quanto visto in questi ultimi tempi c’è dunque molto da temere.
L’Unità 27.07.12