Il governo fissa i nuovi criteri e alla fine, di Province, ne restano 43 su 107. «Una riforma storica, la prima dall’epoca napoleonica », si brinda alla Funzione pubblica, il cui ministro Patroni Griffi, autore della nuova fisionomia che stravolgerà la geografia italiana, assicura che, alla fine della “cura” (2013-2014), il processo di «soppressione e riordino» porterà a «40 Province, 10 Città metropolitane». L’iter non sarà breve (tempi e modi ancora da definire, secondo il ministro). E coinvolgerà innanzitutto le Regioni ordinarie, poiché su quelle Speciali vale il “muro” dell’autonomia e l’adeguamento seguirà procedure diverse. Al contrario, le prime dovranno affrettare il passo e stilare l’elenco, entro l’anno (quando l’accorpamento sarà legge), delle “ripescate”, le 50 Province destinate a perdere il loro status per “accorpare” sedi, funzioni, personale con le vicine (sarebbero
64 con quelle di Sicilia, Sardegna e Friuli). Basta che siano popolate da almeno 350 mila abitanti ed estese quantomeno per 2.500 chilometri quadrati (dai 3 mila ipotizzati in prima battuta). Parametri minimi, stabiliti ieri dal Consiglio dei ministri, a cui rispondono, secondo i primi calcoli del governo, 36 Province (le “salvate”). Gli “accorpamenti” già sollevano polemiche, ma anche opportunità che i territori sembrano voler cogliere. Si parla di Provincia Romagnola tra Cesena, Forlì, Rimini e Ravenna. E di Provincia del Buon gusto per Parma, Piacenza, Modena e Reggio Emilia. Ma anche di Provincia Pontina e della Ciociaria per Latina e Frosinone e di Provincia Adriatica per il “matrimonio” possibile tra Teramo, Pescara e Chieti. Mentre ancora Savona e Imperia paiono destinate a formare la Provincia di Ponente. Fantasie? Si vedrà se a prevalere saranno i campanilismi o le esigenze della
spending review.
Non mancano, intanto, critiche e distinguo, naturalmente. Come quelle dell’Unione province italiane (Upi), che apprezza il disegno complessivo, stimando risparmi di 500 milioni a regime dalla “dieta” imposta alle strutture politiche e alle sedi, più 1-1,5 miliardi dalla conseguente riorganizzazione degli uffici dello Stato: questure, commissariati, vigili del fuoco, protezione civile, agenzie economiche (Entrate, Demanio), prefetture (verrebbero dimezzate). Ma si teme per il destino occupazionale di 56 mila dipendenti (di cui 10 mila nei Centri per l’impiego) e per le funzioni. A vecchie e nuove
Province dovrebbero restare solo trasporti e viabilità (125 mila chilometri di strade) e ambiente. Via lavoro e scuole. In particolare, l’Upi teme per l’edilizia scolastica: 5 mila edifici relativi a 3.300 istituti secondari, su cui le Province negli anni hanno investito
moltissimo in manutenzione e controlli. E per le quali hanno circa 3 miliardi di debiti contratti con banche e Cassa depositi e prestiti.
L’unica scure certa, nel frattempo, è quelle delle 10 Province più grandi che entro il primo
gennaio 2014 diventeranno Città metropolitane: Roma, Milano, Napoli, Venezia, Firenze, Torino, Genova, Bologna, Bari e Reggio Calabria. Con il primo Super- Sindaco in arrivo già in primavera e proprio nella Capitale.
La Repubblica 21.07.12
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Tutte le conseguenze per i cittadini tra incertezze e nuove competenze
È uno dei temi caldi, dal momento che l’edilizia scolastica, storica competenza delle Province per quanto riguarda gli istituti secondari, sarà loro sottratta per passare in capo ai Comuni. Spetterà dunque ai sindaci costruire nuove sedi, gestire eventuali accorpamenti o fusioni, fare la manutenzione ordinaria e straordinaria. E soprattutto vigilare e controllare le strutture.
NULLA cambia, purtroppo, sul versante tasse. L’addizionale versata dagli automobilisti quando sottoscrivono l’Rc auto — e che per il 2012 almeno la metà delle Province italiane ha provveduto a rincarare dal livello base (il 12,5% del premio) — rimarrà tal quale.
Analogamente i tributi ambientali e l’Imposta di trascrizione (Ipt) per i passaggi di proprietà o immatricolazioni di nuove auto.
Entrate ancora essenziali.
SI TRATTA di competenze che sembrano destinate alle Regioni. I 500 Centri per l’impiego oggi esistenti (in media 5 a Provincia) investono quasi un miliardo per le politiche del lavoro. Chi vorrà iscriversi nelle liste di isoccupazione o informarsi su borse, offerte, tirocini dovrà tenere conto ell’accorpamento dei Centri che seguirà l’assetto delle nuove Province. Così per la formazione professionale.
VIABILITÀ e trasporti rimangono competenze delle Province che gestiscono 125 mila chilometri di strade italiane con un impegno finanziario importante, tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro. E investimenti altrettanto significativi, realizzati negli anni, tra costruzione, progettazione, miglioramento e manutenzione della rete. Senza trascurare i compiti di vigilanza che la legge assegna proprio alle Province.
TROPPO presto per dirlo. Le Super-Province del futuro potrebbero assumere nomi nuovi. E a quel punto si può supporre anche un cambio della sigla da apporre sulla targa (in modo facoltativo nella sua versione attuale) con logica e dolorosa, per i campanilismi, rinuncia a quelle storiche. Le motorizzazioni, poi, rischiano una severa dieta dimagrante: una sola per le Province accorpate, forse con sedi distaccate.
IL DIMEZZAMENTO delle Province comporterà in prospettiva anche una riorganizzazione degli uffici periferici dello Stato. Quasi sicura una riduzione dei Prefetti (della metà), ma anche uno snellimento nella distribuzione di Questure, Commissariati, Vigili del Fuoco, Protezione Civile. Con eccezioni per i territori dove il rischio criminalità è maggiore. Nessun abbandono, però, assicura Palazzo Chigi.
TUTTE le competenze “verdi” rimarranno alle Province, vecchie e nuove. Non solo compiti di protezione e osservazione di flora, fauna, acque e loro inquinamento, gestione del patrimonio idrico, ma anche la predisposizione e l’approvazione dei piani di risanamento. Resta alle Province pure l’emissione delle licenze di pesca e caccia e, con ogni probabilità, del patentino per le guide turistiche.
LE 107 Province italiane hanno un patrimonio immobiliare considerevole. Molte hanno sedi importanti, in palazzi storici che l’Unione delle Province si augura non siano dismessi, ma usati per le funzioni comuni nel momento in cui si procederà con gli accorpamenti.
Esiste poi la questione del personale, ben 56 mila dipendenti che andranno ricollocati presso Comuni o Regioni, seguendo il criterio delle “funzioni” cedute.
La Repubblica 21.07.12