La salvezza dell’Ilva, l’acciaieria di Taranto che è lo stabilimento più grande d’Europa, si nasconde dietro una grigia denominazione burocratica: accordo di programma. È stata questa la decisione dell’incontro di ieri mattina a palazzo Chigi, una sede che fa ben capire quanto il problema dell’Ilva sia nazionale. Lo stabilimento rischia infatti di chiudere sulla base di una decisione del tribunale poiché evidente è la correlazione tra l’inquinamento provocato dall’Ilva e il tasso di malati e morti per tumore.
Al vertice di ieri hanno preso parte ministri, rappresentanti degli enti locali, sindacati. Il coordinamento era affidato a Corrado Clini, ministro dell’Ambiente. Il risultato è per l’appunto un accordo di programma, che sarà firmato entro la prossima settimana e che individuerà nel dettaglio le risorse finanziarie, i progetti e le modalità attuative per la bonifica del sito dell’Ilva. «Non possiamo rischiare di far perdere all’Italia il sito dell’Ilva», ha affermato Clini. Il protocollo identificherà «gli obiettivi e i programmi sottoscritti dalle amministrazioni centrali e locali. Lavoreremo – ha assicurato Clini – perché questo accordo venga condiviso da Ilva in maniera tale che il risanamento del territorio faccia parte della strategia industriale di questo grande gruppo».
E sul fatto che sia grande non ci sono dubbi: 12mila dipendenti diretti, a cui va aggiunto l’indotto. Le produzioni di Taranto alimentano il 40% delle aziende italiane che utilizzano acciaio. Per la cui produzione però si è inquinato molto. Troppo, a leggere le perizie. «A Taranto si muore – dichiara senza mezzi termini il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli – dalla riunione di oggi non arriva nessuna risposta all’emergenza sanitaria che riguarda l’oggi, non il domani. A Taranto ci sono stati 386 decessi negli ultimi 13 anni». La sua è l’unica voce fuori dal coro perché tutti si augurano che lo stabilimento non chiuda per via del contraccolpo occupazionale che piegherebbe la città di Taranto e non solo. Sul fronte sindacale la leader della Cgil Susanna Camusso ha auspicato che insieme al coinvolgimento dell’Ilva ci sia quello delle organizzazioni sindacali «in modo da rendere compatibile il mantenimento della produzione industriale con l’ambiente e i processi di risanamento del territorio che devono essere avviati. Oggi si è iniziato questo ragionamento e c’è un impegno a coinvolgere l’azienda che speriamo dia i suoi frutti». Il governo ha messo sul piatto 280 milioni per la bonifica del territorio. Troppo pochi, secondo i Verdi.
La Stampa 20.09.12
******
“MONTI DEVE CAMBIARE STRADA. SCIOPERO GENERALE IN AUTUNNO”, di Rinaldo Gianola
Anche se il presidente del Consiglio ha espresso commenti ingenerosi sulle parti sociali e sulla concertazione, anche se non vuol ascoltare le voci dei sindacati, vorrei chiedergli di cambiare strada al più presto perché così il Paese non ce la fa, non si salva e non si risolleva».
Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, è «fortemente preoccupata per la situazione sociale, per quello che può succedere a settembre», perché dopo un anno di manovre e sacrifici «siamo ancora qui davanti a un’altra emergenza dello spreadche giustifica tagli, licenziamenti, altre ingiustizie».
Segretario Camusso, pensa che Monti possa davvero accogliere il suo invito?«Non credo, per come si è mosso finora. Il sindacato confederale può piacere o meno, ma ha ancora un grande ruolo in Italia, è capace di cogliere e rappresentare le preoccupazioni e gli allarmi che salgono dalle fabbriche, dalla società. Vorrei dire al presidente Monti che oggi l’Italia leale e onesta, i lavoratori e i pensionati che hanno pagato tutte le manovre, che hanno versato l’Imu si chiedono se questi sacrifici sono utili, se garantiscono un futuro sereno, una società più giusta. L’azione di governo di Monti non ha risolto il problema dello spread, ma in compenso ha colpito duramente i lavoratori, i pensionati, senza offrire speranze reali a giovani e donne, ai ceti più deboli. A settembre le condizioni del tessuto produttivo potrebbero essere peggiorate, si potrebbero aprire nuove crisi. In questa congiuntura l’unica preoccupazione di Monti è lo spread e come tagliare l’intervento pubblico ».
Qual è il limite più grave del governo? «Si muove solo sul piano finanziario. Pensa solo a tagliare e mistifica come revisione della spesa quella che in realtà è un’altra manovra di tagli. Un conto è un intervento moralizzatore sulla spesa pubblica e potremmo dare qualche suggerimento se Monti ci ascoltasse, un altro è usare la mannaia sulla pubblica amministrazione, sulla sanità, sul trasporto locale. La spending review determinerà migliaia di licenziamenti. Il governo ne è consapevole o se ne accorgerà a cose fatte, come nel caso della riforma delle pensioni e delle migliaia di esodati?»
Cosa teme oggi? «Ci sono tre urgenze. Primo: non è chiaro se ci sono i finanziamenti per la cassa integrazione in deroga per il 2013, molte Regioni hanno finito i fondi. Secondo: spero di sbagliarmi ma c’è un gioco di emendamenti sulla prosecuzione della mobilità che potrebbe portare a un’ondata di licenziamenti anticipati. Terzo: il decreto della spending review ha un effetto depressivo sull’economia, ci stiamo avvitando su manovre e spread senza dare fiato alla produzione, la manovra colpisce i soliti noti, impoverisce le famiglie. Vorrei vedere un segnale di equità, di giustizia, di redistribuzione, una politica dura contro l’evasione e il sommerso».
Ad esempio? «Cito un caso: ma perché mentre tutti sono chiamati a fare sacrifici non si riesce mai a mettere un tetto, a ridurre le retribuzioni dei grandi manager. Perché l’autorevolezza di Monti si ferma davanti a questo ostacolo?»
Cosa farà il sindacato? «Farà la sua parte se il governo non cambia strada. La Cgil, d’accordo con le altre confederazioni, contrasterà le politiche del governo. Non possiamo accettare una linea d’azione unilaterale, ingiusta. Siamo pronti a negoziare, a fare la nostra parte come è sempre avvenuto quando il Paese era in difficoltà. Ma Monti sta sbagliando e non ce lo possiamo permettere. A settembre prepareremo lo sciopero generale. In questa situazione vorrei dire a Federmeccanica che è grave discriminare la Fiom, non c’è bisogno di altre tensioni. Rispetti i patti».
Intanto si aprono altre emergenze industriali. Come ne usciamo? «Sull’Ilva noi e Confindustria abbiamo detto al governo che il polo siderurgico di Taranto non è solo il più grande d’Europa, ma è il fornitore di larga parte dell’industria manifatturiera nazionale. Se dovesse chiudere la nostra credibilità di Paese andrebbe a zero. Per la Fiat spero che nessuno si sorprenda della cassa integrazione a Pomigliano. La Cgil denuncia da tempo i buchi del piano industriale, la mancanza di investimenti, la strategia di trasferire gli interessi prevalenti del Lingotto all’estero. Le parole di Marchionne sono state esplicite. Mi sorprende il silenzio di Monti e del ministro Fornero, molto rispettosi dell’autonomia delle imprese. Il presidente francese Hollande ha detto a Peugeot che non può licenziare 8mila lavoratori e di chiudere una grande fabbrica. Magari Monti potrebbe usare un po’ della sua moral suasion su Marchionne».
La sinistra si prepara al voto, imperversa il dibattito,dalle primarie alle alleanze. Che idea si è fatta? «Non sono interessata a schieramenti, personalismi. E neanche al dibattito se Monti deve succedere a Monti. Spero che il centro sinistra avvii una seria fase programmatica per proporre un’alternativa di governo. L’unica condizione che davvero conta è mettere le persone e i loro problemi al centro della politica e dell’azione di governo».
l’Unità 20.07.12