«L’unica forza politica in grado di lanciare la sfida per battere l’antipolitica è il Pd, ma deve puntare a un ampio coinvolgimento». L’unico partito ad avere delle «chance di partenza rispetto alle altre formazioni concorrenti o convergenti» per battere l’antipolitica è il Pd, sostiene il professor Alberto Asor Rosa. Ma deve dare una dimostrazione della sua forza, con un’operazione di grande coinvolgimento «popolare» e certo, aggiunge, «non penso alle primarie». Da quel coinvolgimento, ragiona Asor Rosa, potrebbe iniziare un percorso verso un unico grande partito in grado di racchiudere in sé il vero riformismo, quello a cui fanno riferimento sia Bersani sia Vendola.
Professore, il post-montismo a cui spesso lei fa riferimento come se lo immagina?
«Monti rappresenta la presunta oggettività dei processi economici e finanziari alla quale si sforza di ubbidire risolvendo i problemi tecnicamente a quel livello. Mi pare non sia sufficiente a qualificare una politica di centrosinistra orientata su di una prospettiva più lunga e più ampia. Quindi torna in campo la questione del punto di vista e cioè del modo e dell’angolo visuale in cui ci si colloca per affrontare i problemi e risolverli, a partire dalla disoccupazione. Mi sembra che questa prospettiva prescinda dal punto di vista di Monti».
E tocca ai partiti riappropriarsi di una visione di lungo periodo più ampia?
«Se parliamo di un partito politico di centrosinistra quella prospettiva montiana è chiaramente insufficiente, perché il punto di vista è diverso. Si arriva a delle conclusioni profondamente diverse nell’affrontare problemi anche economici se il punto di vista riguarda le classi subalterne o le classi dominanti. Questa differenza si è persa nel tempo e invece credo vada recuperata proprio in vista delle elezioni, quando mi auguro venga restituito alla politica il primato che le spetta».
Lo abbiamo chiesto a Vendola e lo chiediamo a lei: il popolo delle primarie potrebbe essere rappresentato da un solo grande partito?
«Ho una scarsa considerazione per l’istituto delle primarie».
Non ci crede?
«Mi pare poco rappresentativo come strumento. Io ho fatto una proposta diversa: se esistono forze orientate a formulare un progetto politico e una strategia di alternativa, sia al berlusconismo sia al montismo, riunirle a discutere insieme della prospettiva sarebbe un passaggio di carattere fondamentale. Per fare l’Assemblea ci vuole ovviamente un partito forte ma avrebbe un effetto di formazione politica di massa che le primarie non sono destinate ad avere in alcun caso».
Lei dice: ci vorrebbe un partito forte. Il Pd non le sembra tale?
«Se il Pd facesse una iniziativa del genere mostrerebbe la sua forza e sarebbe un passo in avanti per tutti non soltanto per il Pd, oltre a essere un’occasione di chiarimento al proprio interno. Quando parlo di un partito riformatore non mi riferisco ad un partito che discenda soltanto dai lombi del movimento operaio. Intendo un partito che si metta nella prospettiva di cui parlavo prima e non rinunci a elaborare una propria strategia come pare invece che facciano quelli che nel Pd pensano di proseguire nel montismo anche dopo Monti».
Vede in questa Assemblea di tutti i riformisti il primo passo verso un partito che li accolga tutti?
«Sarebbe un primo passo in quella direzione e per quanto mi riguarda la considererei del tutto sostitutiva delle primarie».
Professore, ma le primarie vengono da tutti considerate uno strumento di grande partecipazione e lei le smonta così?
«Io non sottovaluto le primarie, come strumento di partecipazione, ma credo che lo sia perché non ne esistono altri. Sono convinto che debba invece essere avviato un dibattito politico di massa che vada al di là degli stati maggiori e coinvolga chi oggi è ai margini. Le primarie, se diventano una sorta di conta elettorale potrebbero servire fondamentalmente a legittimare, per esempio, una posizione, francamente insostenibile, come quella del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, il quale sulle questioni decisive non ha detto e non dice una parola. Prima di arrivare alle primarie con parole d’ordine organizzativistiche, come “rottamazione”, bisogna che le questioni fondamentali siano messe sul tappeto e non tra i dirigenti».
Mario Tronti auspica un solo grande partito «decisivo per le sorti del Paese». Potrebbe essere il Pd? «L’osservazione critica che ho fatto a Tronti riguardava l’assenza nel suo discorso delle modalità attraverso cui raggiungere quel risultato, che non può che essere il risultato di un processo che va organizzato. Per questo penso all’Assemblea, un luogo dove mettere in discussione all’esterno il punto di cui discutiamo. Un fatto così non può nascere nelle segreterie dei partiti lacerate da discussioni interne».
Bersani, a propostito di lacerazioni interne, ha proposto agli alleati una cessione di sovranità al premier per evitare i rischi che portarono l’Unione al fallimento.
«Mi chiedo cosa significa cessione della sovranità. Sono scettico sulle garanzie che l’ampliamento dei poteri del premier darebbe in questo senso. Credo che tutto vada portato all’esterno, come un grande partito popolare deve fare. Bisogna spezzare il cerchio di ferro che separa oggi la politica dalla gente».
L’Unità 17.07.12