"L'uomo della pianura", di Dario Franceschini
La piccola stazione era sempre pulita e ordinata. Per arrivare ai binari si attraversava l’androne, con la biglietteria su un lato e l’orario dei treni attaccato sul muro opposto, dietro le due panche di legno che servivano da sala d’attesa. La ferrovia passava un po’ lontana dal centro del paese, perché il ponte sul Reno l’avevano costruito in un punto dove il fiume era più stretto e così, per raggiungerla, si era dovuta fare una strada lunga e diritta, costeggiata da due filari di pioppi che tagliavano la pianura. Ogni mattino presto, d’estate e d’inverno, Udilio Cesari la percorreva lentamente, appoggiandosi al bastone. Andava sul marciapiede del primo binario, entrando dal cancelletto di fianco all’edificio, senza mai attraversare l’androne della biglietteria. Poi raggiungeva una vecchia panchina di legno verde accostata al muro della stazione, la puliva appena con un fazzoletto e si sedeva. «Pensa di certo ai suoi anni in America», mormoravano i paesani in attesa dei treni. Stava appoggiato con le mani sul bastone davanti a sè, con lo sguardo fisso per ore sulla …