Ogni giorno siamo giustamente preoccupati per l’andamento pericoloso dello spred dei nostri BTP sui bund tedeschi, nel mentre lo spred sociale aumenta senza soste in modo drammatico. Dagli ultimi dati dell’Istat apprendiamo, infatti, che ormai una famiglia su cinque è povera o sulla via di divenirlo. Il 20% delle famiglie è già entrato nell’area della povertà o sta per entrarci. E il peso della povertà è molto più forte per i giovani ma anche per i cittadini del Mezzogiorno: va dal 30% al 40%. Sono record del tutto negativi che non si registrano in alcun Paese europeo, eccetto forse la Grecia alle prese con la difficilissima crisi di oggi. Questo scenario è il risultato di venti anni di crescita zero dell’Italia, del sacrificio a cui è stata sottoposta una intera generazione di giovani, dell’abbandono delle politiche di sviluppo del Mezzogiorno e della recessione attuale, accelerata da politiche di austerità e di rigore senza equità e soprattutto senza alcuno stimolo allo sviluppo.L’Italia soffre soprattutto di un calo verticale della domanda, conseguente a decenni di sacrificio del lavoro, di aumento della precarietà, di riduzione del valore reale di salari e pensioni. Sentiamo aleggiare invece intenzioni governative. abbastanza stupide, come quella di intervenire sulla crisi riducendo tre o quattro festività, 1 maggio, 25 aprile, 2 novembre, nel tentativo di far aumentare la produzione, quando il problema attuale più urgente del Paese è quello di aumentare la domanda. Spero che il premier Monti e i tecnici al governo si chiedano: chi comprerà quell’1% di superproduzione rispetto all’attuale, teoricamente ottenibile con 4 giorni di lavoro in più? E chi compenserà invece le ulteriori perdite di produzione e di occupazione di uno dei pochi settori che ancora vivacchia, cioè il turismo, in conseguenza della cancellazione delle festività? Spero proprio che la lucidità dei nostri governanti non arrivi ad attuare un provvedimento ingiustamente punitivo, economicamente inutile come quello dell’abolizione di alcune festività, già minacciato improvvidamente qualche settimana fa da un sottosegretario in cerca di visibilità e sicuramente privo di lucidità. I problemi del Paese sono ben altri, oltre quello dell’attacco dei mercati finanziari ai punti deboli di una Europa che ancora non riesce ad essere Europa compiuta, economica, politica e solidale. Sono i problemi di uno dei Paesi a più alta diseguaglianza del mondo dove il 50% della ricchezza è nelle mani del 10% delle famiglie. Un Paese sempre più vecchio che invecchia male perché povero sul fronte dell’innovazione. Infatti, è vero che l’Italia è tra i Paesi più vecchi del mondo con 45 anni di età media (nel Medio oriente siamo a 25 anni) ma il nostro problema non è solamente anagrafico. Anche la Germania, con 45 anni di età media è un Paese vecchio come l’Italia, ma evidentemente l’età biologica della Germania è assai più bassa se essa è stata capace di attuare le riforme necessarie e di utilizzare appieno una risorsa preziosa, quella degli innovatori e dei giovani, un fronte sempre più strategico nel mondo globale di oggi. E la Germania non ha certo puntato su monete false come quelle che in passato hanno inguaiato l’Italia ed ancora minacciano di inguaiarla. La Germania non ha infatti puntato sulla quantità della produzione ma sulla qualità, l’unica che nel mondo globale consente ai Paesi industriali di competere con Paesi a basso costo lavoro come Cina ed India. Infatti la Germania ha ridotto le ore lavorate annualmente a meno di 1500 contro una media italiana di più di 1700, concertando il tutto con le parti sociali. E sembra che entrambe le procedure, concertazione e produttività da qualità più che da quantità, abbiano funzionato bene. È una lezione che, anche alla luce del continuo aumento delle diseguaglianze italiane, con povertà e Mezzogiorno che peggiorano, i nostri ministri farebbero bene a meditare con attenzione, invece di attardarsi in provvedimenti punitivi ed inefficaci. C’è anche una norma per evitare il ripetersi della «vergogna» esodati all’interno delle modifiche alla riforma del lavoro approvate ieri. L’emendamento al decreto sviluppo votato dalle commissione Finanze e Attività produttive della Camera istituisce «l’archivio dei contratti e degli accordi collettivi di gestione di crisi aziendali». In questo modo sarà sempre possibile tenere sotto controllo i numeri dei futuri «esodati». Il testo nel suo complesso ha subito una riformulazione dopo la trattativa tra partiti che sostengono al maggioranza e il governo. Prevede dieci punti di modifica della riforma Fornero che entra in vigore domani. Molte nelle novità fanno parte delle richieste contenute nell’avviso comune sottoscritto da sindacati e Confindustria. Le principali riguardano la proroga al 31 dicembre 2014 della mobilità secondo le regole attuali. Sul fronte della flessibilità in entrata vengono ridotti gli intervalli tra un contratto e l’altro a tempo determinato, nel caso dei lavori stagionali. La definizione delle pause di lavoro sono demandate alla contrattazione. L’emendamento poi spalma su due anni (anziché uno, come previsto nella riforma) due criteri che servono a individuare le fase partite Iva, cioè la collaborazione con lo stesso committente per più di 8 mesi e l’importo del reddito fino a 18 mila euro. Altra novità per le partite Iva e gli iscritti alla gestione separata dell’Inps è il blocco dell’aumento delle aliquote pensionistiche che nel 2013 restano al 27%. Per compensare le mancate entrata derivanti dal blocco viene accelerato l’aumento delle aliquote dei pensionati che hanno collaborazioni (l’aumento al 24% previsto nel 2018 viene anticipato al 2016). Altre modifiche: le aziende in crisi con prospettiva di ripresa potranno utilizzare la cassa integrazione straordinaria fino al 2015, si agevola il trasferimento dei rami d’azienda per quelle in crisi e si stabilisce che i contratti a termine fino a 6 mesi non siano inclusi nel conteggio del numero dei dipendenti. Nel solo 2013 sarà poi possibile per i «percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito» integrare il reddito fino a 3 mila euro. Il confronto tra Ministero del Lavoro e parti sociali per una «ricognizione delle prospettive economiche e occupazionali» al fine di «verificare la corrispondenza a tali prospettive della disciplina transitoria e proporre eventuali conseguenti iniziative» infine è previsto entro il 31 ottobre 2014. «La battaglia condotta dal Pd commenta soddisfatto Cesare Damiano, regista dell’emendamento ha conseguito un importante risultato dando attuazione all’impegno del presidente Monti. La scelta di prolungare la mobilità a tutto il 2014 aggiunge mette al sicuro i lavoratori e le imprese di fronte al protrarsi della crisi. Abbiamo concluso positivamente l’intervento di correzione del mercato del lavoro e possiamo dedicarci nella spending review ai cosiddetti esodati. Sono previsti solo 55mila nuovi salvaguardati, un numero insufficiente a risolvere il problema», conclude. «Sono modifiche che recepiscono le indicazioni delle parti ma che non cambiano il giudizio negativo sull’impianto di una riforma che va ridiscussa e modificata commenta Serena Sorrentino, segretario confederale Cgil tre toppe non fanno l’abito nuovo». Più positivi i commenti dagli altri sindacati. «Le modifiche vanno nella giusta direzione e ne miglioreranno l’efficacia: la proroga della mobilità e la clausola di salvaguardia per una verifica dei nuovi ammortizzatori sono importanti», spiega il segretario generale aggiunto della Cisl, Giorgio Santini. «La celerità con la quale il governo ha accettato le integrazioni proposte unitariamente dimostra che il confronto tra le parti sociali è l’unico metodo per trovare le soluzioni necessarie per accompagnare il Paese fuori dalla crisi», afferma il segretario confederale della Uil Gugliemo Loy. «Quando parti sociali, Parlamento e governo si confrontano è possibile raggiungere soluzioni utili per il
Paese afferma il segretario confederale dell’Ugl Paolo Varesi ma la partita per uscire dall’emergenza è ancora molto lunga».
l’Unità 18.07.12