Nell’Unione Europea il 60% degli studenti universitari è composto da donne. Tuttavia l’occupazione è inferiore tra le donne rispetto a quanto invece accade per gli uomini. Solo un dirigente di azienda su dieci è donna; solo il 24% dei parlamentari è costituito da donne. Nei Paesi più ricchi della terra il salario maschile è del 18% superiore a quello femminile, nonostante la forza lavoro femminile sia più qualificata di quella maschile. L’Europa spreca il cervello delle donne. È noto ormai il diffuso allarme contro la fuga dei cervelli che si sta verificando in Europa, il cosiddetto «brain drain». Ma direi che oggi ancor più grande e problematico è il «brain in vain», cioè il fenomeno per cui molte donne raggiungono un livello d’istruzione superiore senza che se ne sfruttino poi le competenze. Se l’Europa vorrà risolvere la scottante crisi del debito e la crescente competizione sul mercato mondiale, una maggiore parità è assolutamente necessaria.
Una risposta risolutiva dell’Europa alle sfide economiche e demografiche non può prescindere da un maggiore impiego delle donne sul mercato del lavoro. Nell’Unione Europea è attivo sul mercato del lavoro in media il 76% degli uomini, contro solo il 62% delle donne. I risultati di una ricerca condotta presso l’Università di Umeå mostrano che il Pil di tutti Paesi dell’Unione Europea messi insieme avrebbe un potenziale di crescita del 27% se le donne lavorassero nella stessa misura degli uomini.
Innanzitutto le donne devono essere parte del mercato del lavoro per se stesse. Il fine della parità è accrescere la libertà individuale. E in questi tempi di crisi sarebbe profondamente sbagliato prescindere dal fatto che le donne sono forse la più grande risorsa, ancora poco utilizzata, che l’Europa possiede.
L’ultimo «Global Gender Gap Report» del World Economic Forum (Wef) mostra una relazione palesemente positiva tra la parità tra i sessi, da un lato, e la competitività, dall’altro, accompagnata da crescita economica del Pil pro capite e sviluppo sociale. La diminuzione del divario tra i sessi è dunque legata a un’economia più forte, all’aumento del benessere e a migliori condizioni di vita. Misure per evitare il «brain in vain» sono state messe in atto dal Consiglio Europeo, ad esempio nel giugno 2010, quando, su iniziativa della Svezia, ha deciso che il numero degli occupati non doveva essere inferiore al 75% dell’occupazione sia per gli uomini che per le donne.
È inaccettabile che ancora nel 2012 molte donne siano costrette a scegliere tra famiglia e carriera. La Svezia ha fatto grandi progressi per quanto concerne la questione della parità, sebbene rimangano ancora molte sfide da affrontare. Per il bene dell’Europa il femminismo svedese dovrebbe essere esportato.
Qui in Svezia, abbiamo cinque proposte per incrementare e rafforzare la parità:
Maggiori possibilità di accedere all’assistenza per l’infanzia. Una buona assistenza per l’infanzia non deve rappresentare un privilegio, ma deve essere accessibile a tutti i genitori. Deve valer la pena lavorare, anche dopo la nascita di un figlio. Per questo l’assistenza all’infanzia deve essere sovvenzionata e deducibile.
Migliore assistenza agli anziani. Anche l’assistenza agli anziani deve essere incrementata. Oggi la responsabilità della cura dei genitori anziani grava spesso, senza sussidi economici, sulle figlie adulte. Non si deve aver bisogno di fare un figlio per garantirsi una vecchiaia sicura.
Un modello di assicurazione parentale più paritario. Un aspetto importante del modello paritario nordico di assicurazione parentale è la destinazione in parti uguali dell’assicurazione a entrambi i genitori, il che ha chiaramente favorito una più equa ripartizione delle responsabilità familiari. Una più equilibrata distribuzione di permessi per l’assistenza ai figli è una premessa alla diminuzione del divario tra uomini e donne sul mercato del lavoro.
Unificare l’età pensionabile per uomini e donne. Non è sostenibile differenziare l’età pensionabile per gli uomini e le donne, l’età di pensionamento nel pubblico impiego deve essere uguale per tutti.
Abolizione dell’imposizione congiunta. Molti Paesi europei presentano ancora un sistema di tassazione dove è la famiglia, e non l’individuo, a essere tassata. Ne consegue che per le donne lavorare è non remunerativo.
Incrementare la parità è prima di tutto una responsabilità nazionale. Ma l’Unione Europea deve operare attivamente al fine di ridurre il divario tra donne e uomini – se non altro perché il futuro benessere dell’Europa dipende in gran parte dall’arresto del fenomeno del «brain in vain».
La Commissione dell’Unione Europea annualmente conduce un’indagine tra gli Stati membri per rilevare quanto questi si adeguino alle indicazioni europee al fine di raggiungere gli scopi della «Strategia Europa 2012» nell’ambito di una crescita intelligente e sostenibile per tutti.
Ebbene, fra le raccomandazioni di quest’anno agli Stati membri, la Commissione ha compiuto passi avanti nella giusta direzione. A molti Stati dell’Unione si raccomanda di rafforzare e incrementare la parità tra i sessi attraverso, tra le altre cose, l’aumento dell’accessibilità all’assistenza ai bambini e agli anziani, l’unificazione dell’età pensionabile tra uomini e donne e l’abolizione dell’imposizione congiunta.
Oggi l’Europa è il continente più ricco del mondo. Se nel futuro vorrà essere il centro economico del mondo e non solo il più grande museo del mondo, dobbiamo lavorare molto di più per incrementare la parità. L’Europa non ha le possibilità economiche per permettersi le casalinghe più istruite e colte del mondo.
*Ministro svedese per l’Unione Europea e Young Global Leader of the World Economic Forum, 2012
La Stampa 18.07.12