All’interno di un rapporto insano tra assetti proprietari, informazione e politica è dunque possibile che gli interessi pubblici vengano subordinati a quelli privati. (da “Alle origini dell’antipolitica” di Pino Pisicchio – Levante Editori, 2012 – pag.47). La Rai ha finalmente una nuova presidente, nella persona di Anna Maria Tarantola. Ma la nuova presidente avrà la Rai, cioè i poteri effettivi per guidarla e governarla? La questione sta tutta in questo interrogativo, per rispondere al quale bisognerà seguire attentamente le prossime mosse dei partiti nello spregiudicato gioco di potere che s’incrocia fra palazzo Chigi e viale Mazzini.
In tutta franchezza, l’impressione è quella di assistere all’ennesima commedia degli equivoci, o meglio degli inganni, intorno al controllo della radiotelevisione pubblica. E quindi della sua capacità di fare informazione e opinione, in vista delle future elezioni politiche. A voler azzardare una previsione, tanto più verosimile dopo l’inquietante annuncio della
rentrée di Silvio Berlusconi come candidato premier, si potrebbe già dire che la Rai è destinata purtroppo a restare ancora un campo di battaglia fra centrodestra e centrosinistra nel segno della più vecchia e consunta partitocrazia.
Con la minaccia estrema del commissariamento, nell’eventualità di una mancata nomina della signora Tarantola, il governo dei “tecnici” sembrava ben intenzionato a imporre un trasferimento di deleghe dal Consiglio di amministrazione alla presidenza, per innescare un rinnovamento radicale nella gestione dell’azienda pubblica. Ma le ottuse e interessate resistenze del centrodestra devono averlo indotto a più miti consigli. E così, in nome di un compromesso sottobanco, a viale Mazzini cambia tutto per non cambiare niente, come dice il Principe di Salina nel Gattopardo a proposito della sua Sicilia.
Non basterà certamente passare dal direttore generale al presidente il potere di spesa sui contratti o sugli appalti, elevando il limite dagli attuali due milioni e mezzo di euro a cinque o magari a dieci. Né affidare alla signora Tarantola le nomine interne dei cosiddetti capi-struttura. Occorre ben altro per affrancare la Rai dalla subalternità alla politica e per restituirla ai cittadini, telespettatori e abbonati.
Ma, in attesa di una riforma organica che liberi il servizio pubblico da questa sudditanza, che cosa potrà fare intanto il nuovo vertice di viale Mazzini? Poco o niente, a quanto è dato per il momento di capire, a parte magari una riduzione dei costi e un risanamento dei conti che comunque sarebbero due risultati apprezzabili. E a giudicare dalle voci e dalle indiscrezioni che circolano sui futuri direttori delle reti e delle testate giornalistiche, di competenza del Consiglio di amministrazione, sarà già tanto se la situazione non peggiorerà ulteriormente.
Qualche segnale positivo, per la verità, non manca. A cominciare dall’ipotesi di Lilli Gruber alla direzione del Tg1. È fuori dubbio che si tratta di una professionista di grande esperienza e valore; già inviata speciale e conduttrice del medesimo telegiornale; un’anchorwomanche oltretutto verrebbe sottratta alla concorrenza di un’emittente in crescita come La7. Per tutte queste ragioni, la nomina della Gruber alla guida del Tg1 potrebbe segnare una correzione di rotta nella deriva dell’ammiraglia Rai, dopo la disastrosa gestione Minzolini: al suo confronto, la coordinatrice di Otto e mezzo rappresenta senz’altro un modello di autonomia, indipendenza e anche di obiettività.
Non sarebbe invece una scelta apprezzabile quella di trasferire l’attuale direttore di Radio 1 e del Giornale radio unificato, Antonio Preziosi, alla guida di questo o di altri telegiornali: il crollo degli ascolti — registrato dalla prima rete, secondo i dati di diversi istituti di ricerca — non depone evidentemente a suo favore. E il fatto che Preziosi sia tuttora “consultore” del Papa per le comunicazioni, non si addice alla radio o alla tv pubblica di uno Stato laico. Né tantomeno sarebbe opportuno retrocedere Lorenza Lei dalla direzione generale dell’azienda a quella della Rete 1, dopo tutte le “epurazioni” decretate sotto la sua gestione.
Auguriamoci, soprattutto, che la nomina della signora Tarantola al vertice della Rai non corrisponda a un “voto di scambio” fra palazzo Chigi e viale Mazzini, all’insegna della partitocrazia. E che non rientri in questa logica anche il rinnovo ventennale delle concessioni televisive, disposte con eccessiva disinvoltura e generosità dal ministro Passera. Quando si chiedono sacrifici ai cittadini — come avvertì trent’anni fa Enrico Berlinguer nella celebre intervista a Eugenio Scalfari per il nostro giornale, ripubblicata in un volumetto dall’editore Aliberti — occorre anche “la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi”. Altrimenti, si rischia prima o poi di perdere credibilità e consenso.
La repubblica 14.07.12