Senza inseguire fantasie di complotti, senza ascoltare gli arzigogoli dei nostri politici, la nuova valutazione di Moody’s sull’Italia è utile per riflettere meglio su come funziona la finanza globale. I mercati veri ne hanno tenuto scarso conto, in breve riportando i tassi dei titoli italiani dove stavano prima; l’importanza delle tre discusse agenzie di rating è oltretutto in calo, per recenti scelte delle istituzioni ufficiali.
Tuttavia i mercati finanziari sono un luogo dove si gioca d’azzardo. Ha poco senso domandarsi se Moody’s sia in malafede o no: nei casinò c’è chi fa delle scommesse, c’è chi ne fa delle altre. Alla base delle scommesse sono andamenti economici reali, ma il processo per cui una scommessa finanziaria si vince o si perde ha alla fine un rapporto assai mediato e contorto con gli eventi concreti del lavoro e del risparmio. Sopravvivere alla continua instabilità comporta: primo, che l’Europa non può più resistere così come è strutturata adesso; secondo, che la politica italiana non si può continuare a fare come la si è fatta fino adesso. Questo perché la possibile rottura dell’euro è diventata il gioco più attraente nel casinò mondiale, specie per molti giocatori che di recente hanno guadagnato molto meno di quanto desideravano.
La sorte dell’euro dipende parecchio da quanto accade in Italia. Inutile ormai interrogarsi su che cosa si sbagliò nel costruire l’euro così com’è. Nessuno tra chi criticava l’unione monetaria al suo inizio aveva previsto che la finanza globale l’avrebbe ingannevolmente favorita nella fase dell’euforia, e invece sospinta verso il tracollo nella fase della crisi. Tra i 17 Paesi l’Italia ha una speciale responsabilità, perché è un Paese grande con una politica fragile. Può anche esser vero, come afferma uno studio della Bank of America, che in caso di rottura dell’euro ce la caveremmo con meno danni della Germania, ma è come dire che conviene buttarsi in gruppo da un precipizio se possiamo sperare di romperci soltanto le gambe mentre ad altri capiterà di peggio.
Un circolo vizioso è possibile: la recessione rende gli italiani sempre più scontenti, i politici (sia vecchi sia nuovi) cercano di compiacerli con promesse assurde, gli altri Paesi si irrigidiscono, i mercati speculando ancor più sulla rottura dell’euro mandano alle stelle i tassi, la recessione si aggrava, si affermano scelte estreme. La novità è che la finanza accorcia enormemente i tempi: basta il timore che l’Italia diventi ingovernabile perché l’ascesa dello spread la renda già tale.
Ogni mossa spregiudicata, non cooperativa, da parte delle nostre forze politiche e sociali (non solo i partiti, i sindacati, la Confindustria, altri) alimenta gli azzardi dei mercati. Ogni mormorio di impazienza viene moltiplicato da una eco colossale, si trasforma in un boato. Per contrasto la modifica delle opinioni consolidate, rimasta ai tempi di prima, appare lentissima. Non è questione di offrire nuovi sacrifici al Moloch dei mercati, che stando così le cose non ne farebbero alcun conto. Occorre invece governarsi bene subito, ad esempio rendendo chiaro il senso degli interventi sulla spesa pubblica, sapendo discutere come migliorarli. Solo una garanzia di stabilità dell’Italia può aiutare la Francia a capire la necessità dell’unione politica, e la Germania a darsi ragione della solidarietà economica.
La Stampa 14.07.12