attualità, politica italiana

"Un fantasma sull'Europa", di Andrea Bonanni

Un po’ increduli e molto preoccupati, gli europei hanno accolto il ritorno di Berlusconi sul proscenio della politica italiana come fosse quello di un fantasma che si sperava definitivamente esorcizzato. Un fantasma che li riguarda da vicino, perché l’Italia è, fin dagli inizi della crisi, il campo di battaglia su cui si giocano le sorti dell’euro e dell’Europa. E l’allontanamento di Berlusconi, propiziato dal cordone sanitario in cui lo avevano isolato le cancellerie europee, era stato un passo considerato decisivo per salvare il Paese e, con esso, la moneta unica. Da quando i giornali hanno riportato le dichiarazioni di Alfano che aprono la strada a una rinnovata leadership berlusconiana della destra italiana, i centralini di Palazzo Chigi e quelli del Quirinale hanno passato ai piani alti dei due palazzi molte telefonate provenienti dalle altre capitali europee con richieste di chiarimenti e segnali di inquietudine. E il «percorso di guerra» di Monti a Bruxelles si è fatto, se possibile, ancora più difficile.
«Ancora non riesco a credere che, dopo un totale fallimento politico ed economico, qualcuno possa pensare di riproporsi agli elettori», confida Hannes Swoboda, il capogruppo del Pse al Parlamento europeo. «Tutto quello che Monti sta facendo è cercare di porre rimedio ai danni provocati da Berlusconi. La sua ricandidatura non sarà bene accetta in nessuna capitale perché costituisce un danno per l’immagine dell’Europa che appare come una democrazia in cui non si sanno trarre le conseguenze delle esperienze negative».
Naturalmente, a livello ufficiale, tutte le bocche sono cucite. Nessuno che abbia incarichi istituzionali si permette quella che apparirebbe come una plateale ingerenza negli affari interni di un Paese che ha appena riconquistato credibilità e prestigio sulla scena internazionale. Ma l’annuncio di un ritorno di Berlusconi alle prossime elezioni conferma nel modo peggiore le preoccupazioni che molti governi avevano già espresso in via riservata sulla tenuta del Paese nel dopo-Monti. E si scopre che le ultime dichiarazioni del Cavaliere, sulla possibilità di uscire dall’euro, sulle critiche all’Europa, sull’opportunità di far stampare moneta dalla Banca d’Italia, erano state ascoltate e registrate con attenzione anche quando sembravano, appunto, esternazioni di un fantasma incollerito.
«Non voglio immischiarmi negli affari interni italiani — dice Sylvie Goulard, esponente francese del gruppo liberale al Parlamento europeo, co-fondatrice del Gruppo Spinelli e relatrice del rapporto parlamentare sulle misure di rafforzamento della governance economica — ma tutte le capitali europee vorrebbero che il governo italiano restasse impegnato nella difesa dell’euro.
Certo le ultime dichiarazioni di Berlusconi sulla moneta unica o sul ruolo della Banca centrale gettano all’aria tutti i progressi accumulati negli anni da uomini come Ciampi, Prodi, Draghi e Monti. Non credo proprio che nelle capitali abbiano accolto la notizia con piacere. L’ultima cosa di cui hanno bisogno gli europei è una campagna elettorale italiana giocata sul sì o sul no all’Europa. Ovviamente la decisione finale spetta agli elettori italiani. Del resto hanno già avuto modo di sperimentare per tre volte i governi Berlusconi».
A stemperare le reazioni europee contribuisce il fatto che nessuno, per ora, prende sul serio le possibilità di successo della destra berlusconiana alle elezioni. «Ma quello che nelle capitali non si è ancora capito, è che la presenza stessa di Berlusconi basta a complicare gli esiti del dopo-voto — spiega un alto funzionario italiano nelle istituzioni comunitarie —. Infatti, mentre prima si poteva comunque contare sulla possibilità di un governo di emergenza nazionale che tenesse insieme centrodestra e centrosinistra per l’adempimento degli impegni europei, la leadership berlusconiana rende di fatto impossibile anche una riconciliazione postelettorale».
Un altro fattore che fanno rilevare gli osservatori europei delle cose italiane è che l’annuncio del ritorno di Berlusconi, se anche dovesse dimostrarsi un “ballon d’essai” destinato a non avere seguiti concreti, ha comunque avuto l’effetto di togliere ogni credibilità politica ad Alfano, che era stato presentato in Europa come il suo delfino. Il leader provvisorio del Pdl aveva perfino abbozzato una mini tournée nelle capitali europee per accreditare la propria immagine e la propria autorevolezza. Alla luce degli ultimi sviluppi, avrebbe fatto meglio a restare a casa. Ma lo sconcerto per la ricomparsa di Berlusconi non si limita all’Europa. Anche a Washington la notizia non deve aver fatto piacere. L’entusiasmo con cui Obama ha accolto Monti in America è stata letto dai diplomatici anche come un segnale di sollievo per l’uscita di scena del Cavaliere, contro cui l’amministrazione democratica aveva decretato un vero e proprio ostracismo. La riprova dei sentimenti americani per il leader della destra italiana si è avuta recentemente nel corso delle grandi manovre diplomatiche per la scelta del prossimo segretario generale della Nato. Si sa che l’Italia vorrebbe mettere sul tavolo la candidatura dell’ex minsitro degli esteri Franco Frattini, uomo che si pensava ben accetto dagli americani. Ma da Washington è arrivata una vera e propria doccia fredda: nonostante la stima personale per Frattini, gli Stati Uniti non vedono di buon occhio alla testa dell’Alleanza Atlantica un ex ministro di Berlusconi. Anche per questa partita, la ricomparsa del Cavaliere non aiuta certo ad aggiustare le cose.

La Repubblica 13.07.12